ServireSciacca significa anche farne conoscere le più belle tradizioni popolari. Ci aiuta in questo la nostra amica Flavia Verde, che in modo magistrale, come è d’uso, ci riporta indietro nel tempo e ci consente di rivivere con tutti i suoi colori e il suo fascino la festa della “Sceusa”, con un articolo pubblicato su ilblogflaviaverde, che ci ha gentilmente autorizzato a riprendere.
“Il corteo festoso delle capre , dei carretti bardati a festa , dei bambini con i loro costumi tradizionali siciliani si snodava , qualche anno fa, per le nostre strade, partendo dal quartiere di San Michele e immergendosi tra le viuzze che dal castello Luna portano al centro storico. Il tintinnare delle ciancianedde appese al collo delle capre si mescolava al canto festoso dei piccoli burgisi, al vocìo delle tante persone che accorrevano a vedere: era arrivata l’Ascensione, una delle feste più belle, in cui i confini tra il sacro e il profano sembravano volatilizzarsi e disperdersi in una pioggia di emozioni che solo la tradizione popolare della nostra gente può trasmettere.



La notte che precede la festa dell’Ascensione si colgono le rose più belle e più varie. Chi ne ha tante nel proprio giardino ne regala a chi non ne ha. Si preparano delle bacinelle piene d’acqua e vi si immergono i petali delle rose. In qualche zona si aggiunge anche della menta profumata e del biancospino. Le bacinelle poi si espongono sui balconi, nei davanzali delle finestre e nei giardini e si tengono fuori tutta la notte. La tradizione vuole che Gesù, salendo al cielo, benedica questi fiori e le persone che con amore li hanno messi in suo onore.La mattina tutti corrono a bagnarsi il viso con l’acqua profumata e benedetta, con gran soddisfazione e piacere.

Il Pitrè, Salomone Marino e Ignazio Buttitta scrivono della credenza alquanto diffusa in Sicilia che a mezzanotte in punto l’acqua del mare diventasse miracolosamente dolce, acquistando proprietà terapeutiche. In quel preciso istante in cui Gesù saliva al cielo, turbe di gente, che si erano accampate già da tempo sulle spiagge, si riversavano in mare, sperando, con fede incrollabile, in una pronta guarigione. Se il miracolo non avveniva – pazienza! – voleva dire che non ci si era immersi all’ora giusta.
Secondo la saggezza popolare, era opportuno purificare anche gli animali perché da loro dipendeva la sopravvivenza dell’uomo. «Tutti vogliono far entrare nell’acqua gli animali – scriveva con tratto realistico il Salomone-Marino – a mondarli e guarirli da reali o supposte infermità. E qui, alla incerta luce notturna, la confusione attinge il colmo; tanto più che gli animali sono restii a quel freddo insolito bagno e ricalcitrano e fuggono, mentre i padroni ve li spingono a forza in tutti i modi, per diritto, di sbieco, a ritroso, cavalcandoli, tirandoli, spingendoli, sollevandoli di peso»

Nei cortili, nei vicoli, in campagna, la sceusa aveva però come protagonisti i “pupi “e i giochi popolari come la corsa con i sacchi, quello della pignata e quello della padella. Le vicine portavano abiti vecchi, scarpe, coppole che venivano selezionati accuratamente per fare i pupi, riempiti di paglia e messi seduti davanti a un tavolino con piatti poveri improvvisati. Lu pupu e la pupa erano messi abbracciati per un rituale che oggi può sapere di crudeltà(visto che sarebbero finiti bruciati). “Pariti ddu pupi di sceusa” si soleva dire a una coppia allampanata .

Ma noi ragazzi andavamo intorno a quel tavolino festosi e felici, mentre gli adulti si riunivano per partecipare ai giochi tradizionali in onore della Santa Sceusa. La corsa con i sacchi vedeva protagonisti i giovanotti più avvenenti; mentre per noi c’era il gioco delle quartare e il gioco della padella. Una corda stesa orizzontalmente mostrava appese delle brocche piene di acqua, sabbia, cenere. I partecipanti alla gara venivano bendati e gli veniva messo in mano un bastone con il quale dovevano tentare di percuotere( e quindi rompere le quartare appese alla corda.) Al primo tentativo andato a vuoto, le nostre risate riempivano il quartiere di San Michele; poi battevamo le mani appena la brocca finiva in mille pezzi, riversando il suo contenuto sul malcapitato che l’aveva colpita.

Per il gioco della padella, si prendeva prendeva la padella più vecchia e più affumicata che c’era; un nostro amico la appendeva a una corda dopo avervi appiccicato una grossa moneta al centro. I picciotti scatenati facevano a gara per staccare la moneta dalla padella, imbrattandosi fino all’inverosimile di fuliggine, tra le risate dei presenti. Ma al tramonto del sole, i pupi dovevano essere bruciati. Per tutta le serata, ragazzi e adulti si divertivano a saltare su quello che restava del falò dei pupi, come una sorta di rito di liberazione, di scaramanzia, di propiziazione, di qualcosa che metteva allegria e gioia di vivere. Una tradizione bellissima, che ci manca tanto.”


“Risuddi sicchi e pupi di pagghia,
vampati tanti di fari ‘mprissioni
cu ‘na fumata chi ‘nta l’aria quagghia,
ni ricinu ch’è già l’Ascensioni.
Viva la santa Sceusa! E satamu;
e macari, satannu, n’abbruciamu.”

Piatto in ceramica di Gaspare Cascio raffigurante la “sceusa” nel quartiere di San Nicolò
Le foto contenute in questo articolo mi appartengono. Sono state scattate in occasione di una delle ultime feste dell’Ascensione a Sciacca.
FLAVIA VERDE
Complimenti per l’accuratezza dei particolari