Riceviamo, con richiesta di pubblicazione su ServireSciacca, la seguente riflessione di Giuseppe Catanzaro sull’esigenza di un rinnovato senso della parola Civismo, anche nella vita pubblica della nostra città.
La condividiamo con i nostri lettori, confidando che possa fare da stimolo ad un proficuo confronto di idee.
“Civismo: senza maschere e spezzatini può davvero influire.
Civismo, forse una delle parole più bistrattate, plasmate e deformate degli ultimi tempi. Così bistrattata, da risultare quasi estranea a coloro i quali dovrebbero essere la rappresentazione plastica della stessa. Così entrata nel frullatore della società e della politica, da voler significare tutto e niente.
Partirei da lì, dal cercare di dare una accezione attuale e probabilmente necessaria a questo termine, bistrattato si, ma non per questo meno importante.
Dal 1994 in poi, partecipare “civicamente” alla vita politica e sociale del nostro Paese ha assunto una accezione sempre meno chiara, sempre più ambigua: dopo l’era di “Mani pulite”, caduto prima il Muro di Berlino, i partiti classici sono stati superati da una forma di organizzazione politica più liquida, più civica appunto. Le ideologie hanno avuto meno peso, e i partiti hanno assunto un ruolo diverso, più disposto ad accogliere anime diverse, culture differenti, fino ad arrivare ad oggi. Oggi, soprattutto nei territori, quasi tutto è tendenzialmente civico: difficile è trovare liste di partito ed ogni agglomerato è tendenzialmente aperto alla società civile. Se da un lato tutto ciò ha rappresentato una potenziale fonte di partecipazione, dall’altro, tale indiscriminato utilizzo del termine “civico” ha probabilmente comportato, nel tempo, uno svuotamento di tale parola, oggi spesso vuota ai più di significato.
Quanti di noi si sono candidati in liste civiche, per poi scoprire che i propri rappresentanti, eletti nella stessa lista, rispuntano poco tempo dopo in qualche partito nazionale che col nostro, magari, non c’entra nulla? Forse tanti.
È da questa consapevolezza che dovremmo, a mio modo di vedere, ripartire, ovvero dalla necessità di restituire a questo termine una sostanza, una dignità, più che attuale, direi funzionale ai tempi e ai territori orfani di partecipazione.
Oggi, anche a Sciacca, una condivisa, plurale e aggiornata riscoperta di questo termine potrebbe rappresentare una nuova linfa per il futuro della città.
Una nuova linfa proveniente dalla presa di coscienza di molti che si sentono privi di uno spazio (o di interpreti) che li rappresenti o che li abbia rappresentati, da una diffusa riflessione centrata sul come voler essere protagonisti della crescita della propria città, dentro e fuori le istituzioni, nel medio e lungo periodo. E aggiungerei, soprattutto fuori: “stare dentro” potrebbe servire ma non abbastanza, come forse ci dimostra l’ultima esperienza consiliare e amministrativa, dove non pochi sono stati i consiglieri comunali rimasti spesso isolati e giudicati nella loro azione dal loro elettore medio di riferimento. Sviluppare dunque, attorno ad un ragionamento collettivo, un unico campo stabilmente civico, largo, permanente, organizzato, capace di assumere posizioni chiare sui temi amministrativi, anche nel confronto con le organizzazioni partitiche classiche ed i loro rappresentanti di riferimento, è forse quel che serve oggi. Distinto, nell’ottica di un confronto basato su posizioni mature, discusse e delineate. Un’organizzazione capace di rappresentare un serbatoio per le pubbliche amministrazioni, da un lato, ed un movimento “sentinella”, presente nel territorio e promotore di progetti dal basso, dall’altro (esperimento certamente arduo, come dimostra l’esperienza del Movimento 5 stelle, e non solo quella onestamente).
Dopotutto, un civismo “diluito” l’abbiamo provato più volte, sia all’interno dei poli classici di destra e di sinistra, sia in una spacchettata serie di proposte fuori dal perimetro del bipolarismo classico, con il risultato che in tantissimi continuano a sentirsi sempre più distanti dalle scelte amministrative che ricadono sulla propria città. Forse oggi occorre un’altra cosa. Una “cosa” dove partecipino, in primis, tutti quei cittadini che non hanno mai scelto di esserci attivamente, che hanno guardato la politica da casa, giovani e meno giovani, che si reputano “esclusi” o poco attratti anche dallo storico attivismo civico locale fatto di associazioni e comitati vari, ovvero la maggioranza della gente.
Una cosa che includa e che sia così partecipata da arrivare ad ottenere un consenso netto e trasversale.
Verosimilmente chiaro a molti è invece quello che non serve.
Non serve più una partecipazione civica centrata e sviluppata solo in occasione delle campagne elettorali: all’indomani rimangono i partiti, tutto il resto dei candidati non eletti e delle liste civiche affibbiate alle liste di partito “scompaiono” o si disimpegnano qualche mese dopo, prendendo le distanze da chi governa, soprattutto quando governa male, compresi coloro i quali hanno magari portato voti alle liste civiche del sindaco di turno, presentatosi come civico e poi migrato, come spesso accade, in qualsivoglia partito.
Serve, forse, un civismo che si assuma delle responsabilità sociali, culturali e politiche nel lungo periodo, investendo su sé stesso. Un Civismo autonomo, soprattutto unito, in un unico fronte, umano, solidale, prima che politico, fondato sulla conoscenza capillare di ogni angolo della città ed aperto a competenze ed esperienze specifiche e plurime. Un Civismo “esperto” delle criticità e delle potenzialità della propria città. Ma soprattutto un Civismo laborioso e meno liquido, consapevole di quanto sia importante darsi una organizzazione prima e dopo gli appuntamenti elettorali. Un Civismo plurale, lontano dall’essere utile a chi ambisce a poltrone assai prestigiose, palermitane o romane che siano ma attento a coltivare profonde radici valoriali, culturali e solidali, senza le quali il solo sviluppo politico è destinato, primo o poi, ad esaurirsi.
Un Civismo maturo, profondo, come un albergo dalle radici ben salde, insomma, capace di uno scatto resistente ai chilometri che lo attendono, capace di crescere nel tempo insieme alla città in cui nasce.
Senza questo scatto, il “civismo” potrebbe rimanere una parola destinata a mille trasformazioni dai mille esiti, dai mille risvolti, dalle mille delusioni, dai molteplici inizi, destinati, prima o poi, a finire, anche a Sciacca”.
Un gravissimo problema nell’odierno quadro politico è che il “civismo” non riesce più a penetrare nei contenuti e nelle azioni dei partiti politici tradizionali, che dovrebbero costituire il respiro democratico del nostro paese e delle nostre città. Il forzato ripiego su forme varie di rappresentanza civica ha però sempre avuto efficacia più o meno scarsa, come descrive Giuseppe. Il motivo fondamentale credo sia proprio il fatto che nella parola di “civico” finisce con il confluire, in politica, un’identità indistinta e liquida, che ben presto si disperde, evapora. Ecco quindi che l’auspicio nel quale confluisce la riflessione di Giuseppe è assolutamente condivisibile sul piano del ragionamento, ma trova un limite (insormontabile?) nell’esigenza di riuscire a coniugare questo rinnovato senso del “civismo” con una identità molto forte e ben definita, che sia non ideologica ma valoriale e strettamente ancorata a qualcosa di misurabile e verificabile: magari il bene e l’interesse supremo della propria città, costruendo prima una visione di città in cui potersi riconoscere adesso e in futuro.