Tra i tesori di Sciacca il “Castello Incantato” di Filippo Bentivegna è sicuramente tra quelli la cui visita suscita maggiori emozioni, per l’atmosfera magica che vi si respira.

Lo conferma, ancora una volta, la descrizione molto bella che ne fa Alessandra Angelucci sulle pagine di Huffpost Italia, che riprendiamo su ServireSciacca ritenendola un prezioso servizio alla nostra città.

“Dalla nuda pietra prende forma la vita e si scalfisce il dolore provato. Dalla nuda pietra affiorano le “anime” che abitano il Castello Incantato di Filippo Bentivegna, cittadino di Sciacca nato nel 1888 e scomparso nel 1967.

È proprio qui, a pochi chilometri dal centro abitato da abili pescatori, sulle pendici del monte Kronio in provincia di Agrigento, che s’incastona la visione totemica dei volti affiorati un tempo nella mente di Filippo Bentivegna: un uomo analfabeta, di origine contadina, lontano dai dettami accademici e dagli ambienti di un mondo artistico retto da definizioni e correnti. Un illetterato, che non aveva frequentato le scuole elementari e che nella marina aveva conosciuto la legge del mare: da solo costruì il suo mondo per salvarsi da quello reale, violento e malvagio. Costruì un paradiso poetico in cui abitare sicuro: lo forgiò dalla roccia dura, più onesta e vera, incorruttibile come il suo animo.

A Sciacca, il Castello Incantato – che poi di fatto castello non è – si disegna agli occhi di chi guarda come un popolo di sudditi in pietra con cui Bentivegna viveva e parlava. Un nome per ogni volto scolpito dall’artista, una storia per ogni testa forgiata nella noce del tronco degli ulivi. Lui, Filippo, monarca assoluto del suo regno, si faceva chiamare “Sua Eccellenza” da chi lo andava a trovare, e non era così scontato che concedesse a tutti l’onore di parlare con gli “abitanti” muti della città ricostruita.

Addentrandosi nel giardino incantato si è circondati da centinaia e centinaia di teste, impossibile non essere colti dallo stupore. La collina è dominata da un mare di roccia viva: le linee delle pendici si fanno traccia per camminare e le teste che si susseguono obbligano al silenzio per osservare l’intreccio che si allarga fra gli alberi. Il messaggio sembra essere chiaro: c’è tanto da scoprire quando si tace in mezzo alla natura. E fra gli abbracci rocciosi e le grotte scavate dalle mani di Bentivegna si infiamma una grande illusione: si è convinti di guardare mentre in realtà sono le teste ad osservare i passanti, accennando a qualche sorriso.

Profili definiti, altri solo abbozzati, che conducono in fila al cuore del giardino di pietra in cui si apre la piccola casetta in cui Bentivegna viveva e riposava dopo lo scavo e la scalfittura. Basta osservare le pareti di questo antro che si apre come utero fra gli alberi vergini: pitture murarie lo decorano per dire che il suo soggiorno negli Stati Uniti fu speranza e tragedia. Grattacieli che si librano verso l’alto, fra case e chiese, su uno specchio di pesci in cui i grandi inglobano i piccoli. C’è traccia di malinconia e tristezza nell’agglomerato di case che l’artista dipinse, senza trovare una vera accoglienza.

La volontà di Filippo Bentivegna fu infatti questa: recuperare la memoria ferita, a partire da quel giorno in cui in America, dove si era trasferito per lavorare, fu aggredito e ferito gravemente alla testa e poi lasciato in mezzo alla strada, forse da un rivale in amore. Filippo avrebbe voluto sposare una giovane donna americana, ma la sua volontà fu interrotta violentemente.

“Filippo il pazzo”: così veniva chiamato, quando tornò dopo la Grande Guerra nel suo paese d’origine. Ormai offeso dalla violenza subita, Filippo appariva folle, sognava un altro mondo e veniva deriso e umiliato, mentre il Castello Incantato – la nuova città – prendeva forma dalle sue mani in tutta la sua potenza e grandezza. Un podere di roccia – il suo mondo – che diventava museo a cielo aperto. Un lavoro immenso che, dopo la sua morte, rimase per anni abbandonato e frutto di sciacallaggio. Viene da chiedersi come sia stato possibile.

Fortunatamente nel 1968 un collaboratore di Jean Dubuffet, artista e teorico dell’Art Brut, riuscì a visitare il podere, riportando in dono a Dubuffet alcune “teste” di Filippo, che furono inserite nella sua personale collezione nel 1971, venendo poi esposte a Losanna, nel Museo dell’Art Brut nel 1976.

Nel 1973 la regione Sicilia ha acquistato il fondo dagli eredi e l’11 febbraio 2015 il “Castello Incantato” è stato dichiarato bene culturale ai sensi del Codice dei Beni Culturali della Repubblica Italiana. Quanto tempo per rendersi conto di tanta bellezza, per attestare in via ufficiale che anche in questo caso l’arte è figlia dell’estro creativo e non conosce pregiudizi e categorizzazioni.

Filippo Bentivegna fu artista geniale. Non c’è alcun dubbio.

I pazzi siamo noi ad averlo ignorato e deriso per troppo tempo.”

ALESSANDRA ANGELUCCI

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