Insieme agli incubi che ogni notte ci fanno compagnia (il virus, le trombe d’aria, gli alluvioni), ogni tanto il nostro cervello riesce ad elaborare qualcosa di piacevole e di bello. Chi ha la mia età, sa bene che la camomilla con melatonina non basta a farci trascorrere le ore notturne in tranquillità. Qualche notte fa , tuttavia, sono riuscita a fare un bellissimo sogno.
Vedevo un grande palcoscenico e un sipario rosso che si apriva su…Sciacca. Mi apparivano dapprima dei volti noti di persone, teatranti diciamo così, mescolati a scale, torri, teste che poi, a poco a poco prendevano forma precisa. Ballerini e musicisti mi circondavano sorridenti, trasportandomi in posti conosciuti, ma straordinariamente animati dall’arte.
Vedevo la sagoma del Castello Luna che si apriva ogni settimana per ospitare uno spettacolo della Compagnia dell’Isola ispirato alla saga dei Luna e dei Perollo. Vincenzo Catanzaro e i suoi mi sorridevano facendomi segno di entrare. Mi dicevano che continuavano a recitare in quel magnifico sito, con costumi d’epoca in una scenografia naturale unica.
- L’immagine sfumava e si apriva poi al Castello Incantato, dove, puntualmente, tra le teste di Filippo Bentivegna, una locandina annunciava lo spettacolo settimanale :”La chiave dell’incanto” di Angelo Pumilia, che si svolgeva tra ulivi e sculture, con attori vecchi e nuovi che si muovevano tra i viottoli di pietra, illuminati dalla luce della luna.
La voce inconfondibile di Anita Lorefice mi trasportava poi alla Scala di Santa Venera e altri siti abbandonati, come la scala di san Michele, dove, tra i dipinti di Lucia Stefanetti, sentivo declamare storie di donne in amore, raccontate da donne.
Il sogno continuava con immagini che, come fatte da un drone, mi trasportavano all’Agghiastro di Inveges, alla Chiana, dove Salvatore Monte allestiva, come vedevo scritto sulla locandina, il suo teatro-spettacolo tutte le sere. La magia della campagna si fondeva con la suggestione del musical.
Il sogno poi, come tutti i sogni, svaniva alle prime luci del mattino. Ma mi ha lasciato dentro commozione e rimpianto.
La prima mi riporta alle esperienze teatrali e all’amore per l’arte che in questa città tantissime persone hanno nutrito e alimentato solo per passione e mai per profitto.
Il secondo, il rimpianto, per ciò che poteva essere e non è stato. E non solo per la mancanza di un teatro, ma per la MANCANZA DI AMORE PER LA CULTURA, un amore inteso a 360 gradi che potesse coinvolgere sia le vecchie che le giovani generazioni di artisti, inserendoli in un progetto e in una visione complessiva e che non lasciasse il posto alla precarietà e all’improvvisazione.
La nostra, come nel mio sogno, è davvero una città-teatro, ricca di location suggestive e dotate di enormi potenzialità; scenografie naturali pronte ad essere sfruttate a fini turistici e culturali. Le energie ci sono, ma devono essere sostenute e dirittamente incanalate.
Non ho ritenuto fuori luogo parlare di questo argomento in un momento drammatico per la città. Anzi, lo ritengo utile e di incoraggiamento a risollevarci.