Voglio raccontarvi una storia, una bella storia.
Un giorno ricevo una lettera indirizzata al Tribunale per i Diritti del Malato di Sciacca, nella quale veniva richiesto un aiuto per un problema di salute, da parte di un detenuto che chiamerò Ivan (nome di fantasia), un kosovaro rinchiuso nel carcere di Sciacca e condannato a 7 anni di reclusione per trasporto di stupefacenti. In essa il detenuto lamentava di essere stato trasferito ingiustamente dal carcere di Monza, dove si trovava in sovrannumero, a quello di Sciacca, e che avendo i familiari domiciliati nel sud della Germania non potevano più venire a trovarlo a causa della eccessiva distanza. Così, allontanato dalla sua famiglia, gli risultava impossibile vedere la moglie e, cosa che ancor più lo angustiava, il figlioletto di due anni che lui aveva tenuto tra le braccia l’ultima volta ancora in fasce, immediatamente prima di essere trasferito a Sciacca. Lamentava anche, a causa del dolore per non poter vedere il figlio e della frustrazione per l’ingiustizia subita, di essere caduto in uno stato depressivo, circostanza questa confermata dal medico del penitenziario, che avrei poi scoperto essere stato colui che aveva suggerito a Ivan di scrivermi la lettera. Chiedo allora, ufficialmente, un colloquio in carcere, che mi viene concesso.
Il giorno fissato per l’incontro entro per la prima volta nella mia vita dentro un penitenziario, e ricordo ancora quanto tristezza mi trasmettesse quel luogo, con quella brutta sensazione delle porte che si aprivano e poi si chiudevano dietro le mie spalle. Si presenta così al colloquio un giovane uomo di bell’aspetto che, con fare afflitto, mi racconta tutta la sua storia. Ammette la sua colpa, riconosce di meritare la pena detentiva, ma trova ingiusto che questo gli debba impedire di vedere il figlio e, cosa ancor più grave, che il figlio non possa conoscere il proprio padre. Mi dice ancora di aver fatto molti tentativi per essere riportato al carcere di Monza, senza mai ottenere alcuna risposta. L’ultima volta, in occasione della visita del ministro di Grazia e Giustizia al carcere di Sciacca, ne aveva fatto richiesta financo allo stesso, che gli aveva pure promesso un interessamento, ma nulla di nuovo era poi avvenuto.Mi confida ancora di aver perso la speranza, di non aver più voglia di vivere e di non avere alcun avvocato perché non può economicamente permetterselo, in quanto anche la moglie è senza lavoro e viene assistita in Germania dai servizi sociali.
Dal colloquio durato quasi un’ora, per me drammatico e commovente, ricavo l’impressione di una persona dignitosa, educata e sensibile. Mi faccio consegnare la documentazione della sua storia e lo saluto con tanta tristezza nel cuore, perché in cuor mio temo di non poterlo aiutare.
Comunque non desisto, cerco di documentarmi e apprendo che la normativa prevede che i detenuti con figli minori hanno il diritto di rimanere vicini al domicilio della propria famiglia. Chiedo così consulenza alla rete “Giustizia per i diritti” nazionale di TDM, mi vengono assicurate informazioni in merito non appena possibile, ma intuisco che i tempi potrebbero essere piuttosto lunghi. Questo stato di sostanziale impotenza mi fa molto soffrire, anche perché non mi sento di escludere del tutto qualche gesto inconsulto da parte di IVAN, ma le vie del Signore sono infinite e proprio qualche giorno dopo incontro un mio carissimo amico che lavora a Roma come funzionario al Ministero della giustizia, mi si accende una lampadina e gliene parlo. Lui, nonostante sia un pò scettico, mi invita a mandargli tutta la documentazione, cosa che faccio immediatamente.
Passa un po’ di tempo e, non dimenticherò più quel giorno, mentre mi trovo in auto con mio marito che tornavo a Sciacca da Agrigento, mi arriva una telefonata: è il mio amico e mi informa che quel detenuto è già ritornato a Monza e poi aggiunge che è stato possibile non perché lui mi abbia fatto un favore personale, ma perché Ivan ne aveva tutto il sacrosanto diritto, era stato vittima di un errore, che per fortuna e grazie al mio interessamento era stato adesso sanato. Non so esprimere a parole la mia grande felicità per quella inattesa notizia.
Ma la storia non finisce qui. Alla vigilia di Natale mi arriva per posta una lettera, chi mi scrive è proprio Ivan, che mi ringrazia con delle parole che solo leggendole se ne può apprezzare pienamente la bellezza e alle quali ora affido, attraverso la vostra lettura, la conclusione di questa bella storia a lieto fine: