Dal 24 febbraio 2022 il mondo si è trasformato in una sorta di set cinematografico: al centro ci sono gli attori principali, Russia e Ucraina, dietro le telecamere la restante parte del cast, attento a seguire ogni dettaglio e a dire la sua. Ma un nuovo ciak non può portare il regista, che in questo mio paragone puramente esemplificativo sarebbe l’umanità, a dimenticarsi di tutte le altre scene che comporranno la pellicola finale, soprattutto se sono state già filmate…E invece accade proprio che la politica della dimenticanza trionfi: spariti i talebani a Kabul; nebbia sul conflitto in Siria; estinta ogni forma di violenza sulle donne; cessata una pandemia di morte.
Magari! Chissà cosa direbbe Edward Said sulla prospettiva dalla quale osserviamo le cose.
Secondo ACLED (Armed Conflict Location and Event Data Project), un progetto che analizza e fornisce dati costantemente aggiornati su ogni forma di violenza politica segnalata e di conflitto nel mondo, da marzo 2021 a marzo 2022 si sono registrati più di 102 mila eventi e più di 156 mila vittime. Violenze e rappresaglie di ogni genere si contano in 70 paesi di tutto il mondo. Sono stati identificati, inoltre, 10 conflitti preoccupanti che potrebbero evolversi e/o intensificarsi nei prossimi mesi e di cui sarebbero protagonisti, in primis, Etiopia, Nigeria, Yemen, Il Sahel, Afghanistan, Libano, Sudan, Haiti, Colombia, Birmania. Non si tratta quasi mai di conflitti iniziati da poco, rispetto ai quali non si sa abbastanza, eppure rimangono indiscussi. E quando è stato stilato quel report, la crisi Ucraina non aveva ancora preso la piega odierna, quindi bisogna aggiungere anch’essa, purtroppo, alla lista.
Chissà se la luna di Kiev è bella come la luna di Roma, chissà se è la stessa o solo sua sorella… […], scriveva Rodari. […] Ma sono sempre quella […], rispondeva lei.
Se la luna di Kiev è uguale a quella di Roma, deve esserlo anche quella dello Yemen e del resto del mondo. Eppure, a questi posti troppo spesso non viene destinata neanche la luce flebile di una candela, la stessa che non rimarrà che accendere per le altre vittime innocenti di altri conflitti decisi da altri.
La ciclicità del tempo – scientifica e filosofica -sembra suggerire quel nostro essere tutti Uomini del mio tempo di Quasimodo:
[…] T’ho visto: eri tu, | con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio, | senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora, | come sempre, come uccisero i padri, come uccisero | gli animali che ti videro per la prima volta. […]
Avremmo dovuto dimenticarli, questi padri, quelli delle nuvole di sangue salite dalla terra. E, invece, li abbiamo imitati e abbiamo cancellato dalla mente i figli. Ci siamo fatti coprire il cuore – e gli occhi – da vento e uccelli neri.
Di qualcuno ci siamo anche ricordati, ma ormai non ne parliamo neanche più. Per esempio, abbiamo smesso di raccontare dei talebani a Kabul, per riscoprirli barbari quando hanno sbarrato, di nuovo, le porte delle scuole secondarie a molte ragazze.
La narrazione è stata messa in pausa come se si fossero fermati anche gli eventi!
Non tutti, però, hanno rivolto lo sguardo lontano dall’Afghanistan. C’è chi, come Fondazione Pangea Onlus, ha sempre ricordato che “fine” è un sogno ancora lontano e che le vie dell’abbandono e dell’abbandono al silenzio sono state già percorse abbastanza per continuare a sceglierle.
E del resto del mondo chi se ne occupa? Chi supera confini, offre aiuto, accoglie o semplicemente presta voce e orecchie a storie che avrebbero pari diritto di essere raccontate e ascoltate?!
Chi si approccerà a questo articolo potrebbe trovarlo inesatto, estremamente mediocre o semplicistico e forse è vero perché io ne so ancora poco di come vadano alcune cose in questo mondo. Ma una cosa la so: il volto della guerra è uno solo, così come le sue immediate conseguenze, perciò condannare in lungo e in largo una barbarie perpetuata di qua non può essere direttamente proporzionale alla totale indifferenza per la barbarie che si consuma di là.