Il 12 giugno 2022 non sarà solo il giorno delle elezioni comunali. Tutti coloro che hanno diritto di voto potranno recarsi alle urne per votare i referendum sulla giustizia. Dei sei quesiti che erano stati presentati dalla Lega di Matteo Salvini e dai Radicali italiani, sono cinque quelli che hanno passato il vaglio della Corte Costituzionale. Con il supporto di Cittadinanzattiva andiamo a vedere nel dettaglio quali saranno le domande a cui si chiede una risposta agli italiani. Tenendo a mente che un referendum è valido se raggiunge il quorum della maggioranza assoluta, scopriamo anche che cosa cambierebbe se il Paese votasse “sì” ai quesiti referendari del referendum sulla giustizia previsto per il 12 giugno 2022:

Quesito numero 1: abrogazione legge Severino

Il quesito numero uno ci chiede se vogliamo eliminare la legge Severino. Partiamo dunque dal capire che cosa sia questa norma. Chiamiamo col nome “Legge Severino” ( dal nome dell’allora ministro della Giustizia Paola Severino) il Decreto legislativo 235 del 2012, con il quale sono state introdotte delle disposizioni sull’incandidabilità di un politico a ricoprire cariche politiche o che introducono la decadenza del politico dal mandato.

È incandidabile chi ha commesso reati per cui è previsto il carcere ed è stato condannato in via definitiva:

  • a più di due anni per i delitti di allarme sociale
  • a più di due anni per i delitti contro le pubbliche amministrazioni (Per esempio peculato, concussione, corruzione).
  • a più di due anni per i delitti non colposi per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni.

Se un politico viene condannato in via definitiva per uno di questi reati mentre ricopre una carica, determina la decadenza dal mandato, ma non prima che si sia espressa la Camera di appartenenza di quel politico. Questo vale per tutti i candidati, dalle comunali al Parlamento.

Il quesito recita: “Volete voi che sia abrogato il Decreto Legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell’articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190)?”.

Lo troveremo nella scheda per la votazione di colore rosso e se dovesse vincere il sì, verrebbe abrogato il decreto e si cancellerebbe così l’automatismo. In pratica non c’è più il decadimento o l’ineleggibilità automatica. Torna a essere il giudice che, in udienza, decide, in caso di condanna, di applicare o meno l’interdizione dai pubblici uffici.

Quesito numero 2: misure cautelari

Il quesito numero due vuole limitare le misure cautelari. Può aiutare un breve focus su cosa siano le misure cautelari. Sono delle limitazioni alla libertà personale che, in fase di indagine, il pm (pubblica accusa) può chiedere di applicare su un indagato. Lo chiede al Gip (Giudice per le indagini preliminari) che può acconsentire o respingere. Le misure cautelari si dividono in personale e reali. Le prime agiscono sulla persona (per esempio custodia in carcere, arresti domiciliari, ma anche la sospensione della potestà genitoriale), le seconde vanno ad agire sui beni (per esempio sequestro di somme di denaro, di conti correnti o di altri beni di proprietà di qualcuno). Affinché si possa avere una misura cautelare, ci deve essere uno degli elementi di garanzia. Sono tre: il pericolo che la persona indagata sia a rischio di ripetere il reato (pensiamo ad un omicida seriale); il pericolo di fuga (per esempio se una persona non sia stabile in Italia e abbia i soldi per fuggire); inquinamento delle prove.

Il quesito recita: “Volete voi che sia abrogato il Decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447 (Approvazione del codice di procedura penale), risultante dalle modificazioni e integrazioni successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: articolo 274, comma 1, lettera c), limitatamente alle parole: “o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni nonché per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all’articolo 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195 e successive modificazioni” ?”.

Lo troveremo nella scheda per la votazione di colore arancione e se dovesse vincere il sì, verrà abrogata la motivazione della possibile reiterazione del reato. Questo non significa che un killer potrebbe restare a piede libero perché resterebbe in vigore la carcerazione preventiva per chi commette reati più gravi, ma si porrebbe un freno alla carcerazione preventiva, di cui in Italia si fa spesso uso (i promotori del referendum parlano di “abuso”) per giustificare l’arresto.

Quesito numero 3: separazione delle carriere dei magistrati

Il quesito numero 3 riguarda la separazione delle carriere dei magistrati. In che senso? Il nostro sistema giustizia di basa tutto su una separazione delle parti. C’è il pm che accusa, ci sono gli avvocati che difendono e poi ci sono i giudici che sono super partes e devono giudicare chi ha ragione fra accusa e difesa. Al momento però c’è un problema. Cioè c’è permeabilità fra chi accusa e chi giudica. Per cui, in teoria, ci sono magistrati che, dopo aver passato un decennio a fare indagini, diventano poi quelle figure neutre che dovrebbero guardare con distacco e equilibrio il dibattimento in cui si formano le prove. Si alternano, anche in tempi brevi ed è anche capitato che lo facessero nello stesso processo.

Il quesito recita: “Volete voi che siano abrogati: l’ “Ordinamento giudiziario” approvato con Regio Decreto 30 gennaio 1941, n. 12, risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 192, comma 6, limitatamente alle parole: “, salvo che per tale passaggio esista il parere favorevole del consiglio superiore della magistratura”; la Legge 4 gennaio 1963, n. 1 (Disposizioni per l’aumento degli organici della Magistratura e per le promozioni), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad essa successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 18, comma 3: “La Commissione di scrutinio dichiara, per ciascun magistrato scrutinato, se è idoneo a funzioni direttive, se è idoneo alle funzioni giudicanti o alle requirenti o ad entrambe, ovvero alle une a preferenza delle altre”; il Decreto Legislativo 30 gennaio 2006, n. 26 (Istituzione della Scuola superiore della magistratura, nonché disposizioni in tema di tirocinio e formazione degli uditori giudiziari, aggiornamento professionale e formazione dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 25 luglio 2005, n. 150), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 23, comma 1, limitatamente alle parole: “nonché’ per il passaggio dalla funzione giudicante a quella requirente e viceversa”; il Decreto Legislativo 5 aprile 2006, n. 160 (Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché’ in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n. 150), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alle seguenti parti: art. 11, comma 2, limitatamente alle parole: “riferita a periodi in cui il magistrato ha svolto funzioni giudicanti o requirenti”; art. 13, riguardo alla rubrica del medesimo, limitatamente alle parole: “e passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa”; art. 13, comma 1, limitatamente alle parole: “il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti,”; art. 13, comma 3: “3. Il passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, non è consentito all’interno dello stesso distretto, né all’interno di altri distretti della stessa regione, ne’ con riferimento al capoluogo del distretto di corte di appello determinato ai sensi dell’articolo 11 del codice di procedura penale in relazione al distretto nel quale il magistrato presta servizio all’atto del mutamento di funzioni. Il passaggio di cui al presente comma può essere richiesto dall’interessato, per non più di quattro volte nell’arco dell’intera carriera, dopo aver svolto almeno cinque anni di servizio continuativo nella funzione esercitata ed è disposto a seguito di procedura concorsuale, previa partecipazione ad un corso di qualificazione professionale, e subordinatamente ad un giudizio di idoneità allo svolgimento delle diverse funzioni, espresso dal Consiglio superiore della magistratura previo parere del consiglio giudiziario. Per tale giudizio di idoneità il consiglio giudiziario deve acquisire le osservazioni del presidente della corte di appello o del procuratore generale presso la medesima corte a seconda che il magistrato eserciti funzioni giudicanti o requirenti. Il presidente della corte di appello o il procuratore generale presso la stessa corte, oltre agli elementi forniti dal capo dell’ufficio, possono acquisire anche le osservazioni del presidente del consiglio dell’ordine degli avvocati e devono indicare gli elementi di fatto sulla base dei quali hanno espresso la valutazione di idoneità. Per il passaggio dalle funzioni giudicanti di legittimità alle funzioni requirenti di legittimità, e viceversa, le disposizioni del secondo e terzo periodo si applicano sostituendo al consiglio giudiziario il Consiglio direttivo della Corte di cassazione, nonché’ sostituendo al presidente della corte d’appello e al procuratore generale presso la medesima, rispettivamente, il primo presidente della Corte di cassazione e il procuratore generale presso la medesima.”; art. 13, comma 4: “4. Ferme restando tutte le procedure previste dal comma 3, il solo divieto di passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, all’interno dello stesso distretto, all’interno di altri distretti della stessa regione e con riferimento al capoluogo del distretto di corte d’appello determinato ai sensi dell’articolo 11 del codice di procedura penale in relazione al distretto nel quale il magistrato presta servizio all’atto del mutamento di funzioni, non si applica nel caso in cui il magistrato che chiede il passaggio a funzioni requirenti abbia svolto negli ultimi cinque anni funzioni esclusivamente civili o del lavoro ovvero nel caso in cui il magistrato chieda il passaggio da funzioni requirenti a funzioni giudicanti civili o del lavoro in un ufficio giudiziario diviso in sezioni, ove vi siano posti vacanti, in una sezione che tratti esclusivamente affari civili o del lavoro. Nel primo caso il magistrato non può essere destinato, neppure in qualità di sostituto, a funzioni di natura civile o miste prima del successivo trasferimento o mutamento di funzioni. Nel secondo caso il magistrato non può essere destinato, neppure in qualità di sostituto, a funzioni di natura penale o miste prima del successivo trasferimento o mutamento di funzioni. In tutti i predetti casi il tramutamento di funzioni può realizzarsi soltanto in un diverso circondario ed in una diversa provincia rispetto a quelli di provenienza. Il tramutamento di secondo grado può avvenire soltanto in un diverso distretto rispetto a quello di provenienza. La destinazione alle funzioni giudicanti civili o del lavoro del magistrato che abbia esercitato funzioni requirenti deve essere espressamente indicata nella vacanza pubblicata dal Consiglio superiore della magistratura e nel relativo provvedimento di trasferimento.”; art. 13, comma 5: “5. Per il passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, l’anzianità di servizio è valutata unitamente alle attitudini specifiche desunte dalle valutazioni di professionalità periodiche.”; art. 13, comma 6: “6. Le limitazioni di cui al comma 3 non operano per il conferimento delle funzioni di legittimità di cui all’articolo 10, commi 15 e 16, nonché, limitatamente a quelle relative alla sede di destinazione, anche per le funzioni di legittimità di cui ai commi 6 e 14 dello stesso articolo 10, che comportino il mutamento da giudicante a requirente e viceversa.”; il Decreto-Legge 29 dicembre 2009 n. 193, convertito con modificazioni nella legge 22 febbraio 2010, n. 24 (Interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad essa successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 3, comma 1, limitatamente alle parole: “Il trasferimento d’ufficio dei magistrati di cui al primo periodo del presente comma può essere disposto anche in deroga al divieto di passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti e viceversa, previsto dall’articolo 13, commi 3 e 4, del Decreto Legislativo 5 aprile 2006, n. 160.”?”.

Lo troveremo nella scheda per la votazione di colore giallo e se dovesse passare il sì, il magistrato dovrà scegliere all’inizio della carriera che ruolo vuole avere: se la funzione giudicante o requirente, per poi mantenere quel ruolo durante tutta la vita professionale.

Quesito numero 4: valutazione dei magistrati

Il quesito numero quattro del referendum mira ad abrogare le norme sulle competenze dei membri laici nei Consigli giudiziari. Facciamo un passo indietro. Il Csm (di cui composizione e funzioni sono spiegate nell’ultimo quesito) ha fra le sue funzioni quello di valutare l’operato dei magistrati. Lo fa sulla base delle valutazioni che arrivano dai Consigli giudiziari, che sono organi ausiliari composti da cariche appartenenti alla magistratura e laici (professori universitari e avvocati) sparsi nei territori. Ad oggi la valutazione della professionalità e della competenza dei magistrati viene fatta solo dai magistrati che compongono i Consigli e non dai laici.

Il quesito recita: “Volete voi che sia abrogato il Decreto Legislativo 27 gennaio 2006, n. 25 (Istituzione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e nuova disciplina dei Consigli giudiziari, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera c) della legge 25 luglio 2005 n. 150), risultante dalle modificazioni e integrazioni successivamente apportate, limitatamente alle seguenti parti: art. 8, comma 1, limitatamente alle parole “esclusivamente” e “relative all’esercizio delle competenze di cui all’articolo 7, comma 1, lettere a)”; art. 16, comma 1, limitatamente alle parole: “esclusivamente” e “relative all’esercizio delle competenze di cui all’articolo 15, comma 1, lettere a), d) ed e)”?”.

Lo troveremo nella scheda per la votazione di colore grigio e se dovesse passare il sì, anche i professori universitari e gli avvocati potrebbero dire la loro nel giudizio dei magistrati, incidendo sulle relazioni che poi arrivano sulla scrivania del Csm. Così si uscirebbe dal cerchio per cui sono sempre i magistrati a giudicare altri magistrati.

Quesito numero 5: riforma Csm

Il quesito numero cinque va a modificare le modalità con cui si eleggono i membri del Csm. Intanto facciamo uno scatto fotografico di cos’è il Csm e quale è il suo ruolo. È un organo di rilievo costituzionale attraverso il quale la magistratura (civile e penale) si autogoverna, serve anche a garantirne l’autonomia e l’indipendenza. È composto da membri di diritto e da membri elettivi. I membri di diritto sono, oltre al Presidente della Repubblica (che lo presiede), il primo presidente  della Corte di cassazione e il Procuratore generale della Corte costituzionale. I membri elettivi sono per due terzi eletti da tutti i magistrati di ogni ordine e grado e per un terzo sono eletti dal Parlamento, riunito in seduta comune, a maggioranza qualificata (almeno i due terzi dei votanti).

Il referendum vuole cambiare il sistema di elezione della maggioranza togata. Ad oggi infatti un magistrato che vuole essere eletto, deve trovare dalle 25 alle 50mila firme per essere eletto. Un fatto che determina una cosa: chi vuole entrare nel Csm deve essere sostenuto da una corrente. Le correnti cono ciò che i promotori del referendum vogliono depotenziare. Dopo il caso Palamara, Radicali e Lega vogliono eliminare il vincolo fra eletti e correnti, in modo tale che il Csm sia formato da indipendenti, sperando così di bloccare lo strapotere dei “partiti dei magistrati” che decidono spostamenti di magistrati e nomine, seguendo logiche di interesse e non di merito.

Il quesito recita: “Volete voi che sia abrogata la Legge 24 marzo 1958, n. 195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della Magistratura), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: articolo 25, comma 3, limitatamente alle parole “unitamente ad una lista di magistrati presentatori non inferiore a venticinque e non superiore a cinquanta. I magistrati presentatori non possono presentare più di una candidatura in ciascuno dei collegi di cui al comma 2 dell’articolo 23, né possono candidarsi a loro volta?”.

Lo troveremo nella scheda per la votazione di colore verde e se dovesse vincere il sì, verrebbe eliminata la raccolta firme e si tornerebbe alla legge originale del 1958, che prevedeva che tutti i magistrati in servizio potessero proporsi come membri del Csm presentando semplicemente la propria candidatura. I promotori del referendum sono convinti così di far tornare al centro il magistrato e le sue qualità personali e professionali, non gli interessi delle correnti o il loro orientamento politico.

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