Alle cinque del mattino le taverne erano già aperte. Dai piccoli usci che si aprivano in alcune strade secondarie e vicoli, si diffondeva il profumo del brodo. “u broru” era pronto.

Contadini e operai, prima di andare al lavoro, entravano in quei piccoli locali a conduzione familiare per sedersi sulle panche di legno aspettando che dalla cucina arrivasse sui tavoli disadorni la ciotola con il brodo fumante insieme a fette di pane da sminuzzarvi dentro per farlo inzuppare. Era buono, u bruru. L’oste aveva messo in un pentolone pezzi di carne “povera” come trippa , centopelle, ossa di bovino, bollito. Cuocevano dalla sera prima a tutta la notte, perchè tutto fosse pronto di prima mattina. Negli anni 50 e 60 erano molte le taverne a Sciacca dove si poteva trovare una buona tazza di brodo.

Certo, non era un piatto per palati sopraffini. Chi non voleva farsi beccare nelle taverne, a esclusivo uso e consumo dei più umili, mandava qualcuno di sua fiducia a comprare il brodo con il “piccio”, il mitico contenitore di alluminio precursore storico del tapperware.

Il locale poi, era quanto di più essenziale si possa immaginare: tavoli o panche, sedie di legno, quattro botti con il vino, una lampada sospesa a illuminare tutto il locale, nessun soprammobile. 

Ad accompagnare la tazza di brodo non c’era che il vino, un buon bicchiere di vino che suggellava la sosta nella taverna, soprattutto per quanti, vi si recavano di sera, dopo il lavoro, per incontrare gli amici. Con il passare degli anni, soprattutto negli anni 70, quella di frequentare le botteghe del brodo non era più a esclusivo appannaggio delle classi operaie. Era diventato, infatti, il “dopo veglione” o il “dopo festa” per molti giovani studenti saccensi che, per l’appunto, amavano andare “a broru” per finire la serata in compagnia.

Così, quella buona tazza di brodo gustata in quei locali poveri, si prendeva la rivincita su pranzi e cene nei primi ristoranti eleganti che si andavano diffondendo in città. Quell””andare a broru” significava un ritorno alla semplicità, alla convivialità più genuina e a quel cibo rustico che richiamava famiglia, focolare, amicizia, complicità.

Un pensiero su “AMUNI’ A BRORU…”
  1. Un piacere sentirti rievocare certe usanze del passato. Io, studiando i copioni del vecchio carnevale, ho evenziato anche una funzione delle taverne durante quella festa.

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