T’amu pirchì si bedda, Sciacca mia, pissa luci chi manna lu tò mari, pirchì mi rigalasti la puisia ccu lu travagghiu di sti marinari…
Ventisette anni addietro ci lasciava per sempre il poeta Vincenzo Licata, nostro amatissimo concittadino.
Vogliamo ricordarLo come uno dei figli illustri della nostra città di Sciacca, che il poeta ha onorato sul piano artistico con la bellezza dei suoi versi, generalmente considerati come una delle migliori espressioni della poesia dialettale siciliana.
Vincenzo Licata è stato definito come “il poeta del mare”, perché nelle sue liriche ha saputo magistralmente descrivere la bellezza maestosa del nostro mare, a volte anche impetuosa, così come il coraggio e le caratteristiche peculiari della gente di mare, i suoi amatissimi pescatori, cui la sua stessa famiglia apparteneva.
Ma Vincenzo Licata è stato anche molto di più.
Il suo amore profondo per Sciacca l’ha portato a tratteggiarne in modo sublime le bellezze, le tradizioni, i personaggi, in tutti i loro controversi aspetti.
Con suoi componimenti poetici ha immortalato la Sciacca del suo tempo, anche in quelle manchevolezze che ne hanno sempre ostacolato la migliore valorizzazione della sua bellezza, ma sempre con quella forza e passione poetica che solo un uomo infinitamente innamorato della “propria donna” riesce ad esprimere.
La sua grande versatilità gli ha permesso di esprimersi al meglio, con il suo inconfondibile stile, sia nella poetica lirica che in quella satirica, mantenendosi sempre nel solco della migliore poesia dialettale della tradizione popolare.
Il poeta Licata è stato anche uno straordinario interprete delle sue stesse poesie. La sua capacità interpretativa faceva sì che una poesia di Licata fosse non soltanto bella, ma anche straordinariamente bella da ascoltare quando era proprio la sua voce e la sua spiccata personalità scenica a recitarla.
MA Sciacca sta pian piano dimenticando il suo grande cantore.
La statua in bronzo scolpita da un altro nostro illustre concittadino, Filippo Prestia, e collocata nel piazzale di Rocca Regina, su meritoria iniziativa di Pietro Mistretta e della sua associazione L’Altra Sciacca, si erge troppo spesso circondata da rifiuti, rivendicando forse una migliore collocazione.
L’Opera Omnia della sua poesia, pubblicata su iniziativa del compianto sindaco Michele Marciante, non è stata più ristampata.
E non gli è stata ancora dedicata una via o una piazza, nonostante le richieste in tal senso di CittadinanzAttiva di intitolargli il Belvedere di fondo Bernardo.
Le condizioni della sua tomba, all’interno della grande cappella della Cooperativa Pescatori, meriterebbero sicuramente una maggiore attenzione.
Gran parte dei giovani non sanno più chi sia stato Vincenzo Licata e non ne conoscono le poesie.
Per porre l’accento sull’importanza che dovrebbe avere la conoscenza del nostro “poeta del mare” tra le giovani generazioni, per il tramite delle scuole di Sciacca, vogliamo qui riproporre l’articolo che una nostra giovane concittadina, Flavia Alì, ha dedicato alla figura di Vincenzo Licata sul Magazine Atlante dell’Istituto Treccani, Istituto riconosciuto quale ente di interesse nazionale e istituzione culturale.
“Un gabbiano coraggioso ha chiuso per sempre le ali e ha smesso di guardare il suo mare”. Con queste parole il giornalista saccense Vincenzo Porrello diede l’ultimo saluto alla massima espressione poetica di Sciacca, Vincenzo Licata, quando si spense la mattina del 26 gennaio 1996. Vincenzo Licata nacque a Sciacca il 21 giugno 1906 in una famiglia di pescatori molto numerosa. Fu il quinto dei tredici figli di Filippeddu, il celebre “cacciatore di corallo” che, proprio per la fama acquisita con questa attività, veniva ingaggiato dalle organizzazioni di pescatori della Tunisia. Vincenzo non solo si impegnò a fianco del padre, facendosi sostenitore delle sue nuove idee nel campo della pesca e amandola lui stesso, ma fu anche un lettore assiduo di Hugo, Conrad, Verga, Hemingway e delle poesie di ogni tempo.Pur preferendo le barche ai banchi di scuola, il desiderio di apprendere, anche da autodidatta, lo accompagnò per tutta la vita: condannò i mali della società corrotta, le responsabilità della Chiesa, con l’auspicio di una rinascita dei valori della scuola e della comunità tutta per effetto di un radicamento nella coscienza popolare. Nella memoria di quanti lo conobbero rimarrà per sempre un uomo di mare, piccolo, stempiato, con la faccia araba cotta dal sole e scavata dalla salsedine, con mani che hanno pescato nel gelo e occhi neri e vivaci da poeta e attore.
Eppure, a detta del figlio Antonello, quelle sue rughe marcate sarebbero state quasi una sorta di “stimmate” che il mare avrebbe voluto imprimergli per ricambiargli l’amore e la passione di poeta e di uomo che portava in sé. Eclettico, umile, realista, siciliano, vivo! Sono solo alcuni degli elementi di un ritratto che probabilmente non renderà degnamente giustizia a un grande uomo, prima ancora che a un eccellente autore. Lo testimonia bene l’ “Opera Omnia”, all’interno della quale sono raccolte le sue poesie dialettali siciliane. Licata, in una lirica, chiede il permesso, da cosciente dialettofono, di entrare e ritagliarsi uno spazio, tra i colti “allittrati”, con i suoi umili componimenti. E ci riesce benissimo. La critica in generale concorda sull’autenticità di uomini e donne rappresentati nell’umiltà della loro condizione e dei loro sentimenti, proprio come Licata li vide e li amò, con una grande partecipazione alla loro vita e alle loro sofferenze.È stato definito “poeta del mare”: banchi corallini, feste, modalità di pesca, odori e profumi del Mediterraneo e della costa saccense hanno costituito le fondamenta di una lirica che non è stata e non è soltanto espressione genuina di sentimenti, ma anche magistero di educazione e di elevazione civile e politica. Parlare di Vincenzo Licata non significa produrre un elogio fine a se stesso, ma chiarire il ruolo della poesia, quella vera, senza limiti né confini, perché la sua poesia racconta la vita. Oltre a “C’è pirmissu?” del 1936, egli pubblicò tra l’altro “Furanata” nel 1958 e “Lu casu di Sciacca” nel 1961. I suoi pescatori sono senza tempo come quelli di Giovanni Verga: sono il simbolo di chi lotta per una vita più degna, tra l’indifferenza di chi gode e l’impassibilità della natura. La fama di Vincenzo Licata non è semplicemente radicata nella sua terra, dove cominciò a segnare un solco profondo a partire dagli anni ’20 con i suoi testi poetici e con la partecipazione a programmi locali. L’Italia intera lo conobbe per le apparizioni in RAI e per l’impegno in ambito cinematografico nei ruoli interpretati in “Sedotta e abbandonata” di Pietro Germi, girato a Sciacca, e in “Cristo si è fermato ad Eboli” di Francesco Rosi. Ha scritto Cesare Sermenghi: “Non ha importanza quando egli è nato, perché il figlio del mare non può avere tempo. Né il suo volto punico o le sue mani possono contare se non per coreografie, poiché Vincenzo Licata pesa per l’anima oceanica che si porta addosso”.
È rimasto purtroppo pochissimo materiale video di Vincenzo Licata che recita le proprie poesie.
In omaggio alla Sua memoria, e per chi volesse ascoltarlo e a tratti rivederlo, a conclusione di questo articolo trovate i seguenti link – video – registrazioni:
• il link a “Cunnucemu la Maronna” dalla viva voce del poeta (con una brevissima introduzione estemporanea dello stesso Licata, video che ci è stato gentilmente concesso dall’Associazione culturale “Pietro Germi”, di Vincenzo Raso)
. il video “Vintuliata di marina”, dalla viva voce del poeta
• il video “Festa di Santa Lucia”, dalla viva voce del poeta
. il video “Bertu e Tina”, nel quale la voce in sottofondo del poeta racconta (in lingua italiana) la leggenda della scoperta del corallo, con la stessa trama della sua notissima poesia Bertu Ammareddu (che tuttavia nel video non viene purtroppo recitata…)
. la registrazione in mp3 con la viva voce di Licata della poesia “Corpi di Mare” con una introduzione del poeta
https://www.facebook.com/vincenzo.raso.10/videos/3272883199394950/
Del Poeta sono state rintracciate sedici composizioni inedite sul Carnevale, ovvero copioni che vanno dal 1928 al 1961. I testi sono stati pubblicati dal Comune di Sciacca nel 2017 e da me spediti dentro un CD al figlio Antonello. Si possono anche consultare nella Biblioteca Comunale. Giuseppe Verde
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