Il popolo siciliano, quello di un tempo, riusciva a coniugare le feste religiose con le tradizioni e le risorse del suo territorio, facendo della povertà uno stimolo per creare dei piccoli capolavori da mettere sugli altari dei Santi…ma anche sulla propria tavola. Di queste belle tradizioni della nostra terra fanno parte i “cannilera “, il pane con le uova. Cosa ci può essere di più semplice e genuino? “Dacci oggi il nostro pane quotidiano” dice la nostra preghiera più bella. E le uova? Le avevano sempre a portata di mano, perchè ogni famiglia allevava le sue galline.
Da noi, a Sciacca, nelle nostre famiglie, in questo periodo, tra le feste di San Giuseppe e la Pasqua, si facevano tanti di questi pani. Mia madre e le sue amiche impastavano semola di grano e acqua, con lievito madre, (crescente,) sale e tanta “giggiulena”. Mettevano a bollire uova freschissime delle galline che allevavano nel cortile. Le facevano raffreddare. Appena la pasta di pane era ben lievitata e “sbuccava” dai canovacci in cui era avvolta, allora sistemavano la pasta sulla spianatoia di legno, formavano dei panetti e li appiattivano. Facevano una piccola conca al centro e vi poggiavano l’uovo con tutta la buccia.
Intagliavano con una lametta da barba, ad arte, il panetto, dandogli la forma di gallinella, rondine, cestino, e, steso un budellino di pasta, circondava l’uovo alla sua base, formando poi una croce con lo stesso budellino, per non farlo cadere durante la cottura. C’erano attorno a lu scannaturi delle tavole di legno ricoperte da abbondante farina. Su queste tavole le donne andavano poggiando li cannilera pronti per essere portati al forno. Che spettacolo! Tre, quattro, cinque tavole piene di cannilera allineati. Mia madre e le sue amiche facevano delle orazioni propiziatorie e delle preghiere per fare andare bene la cottura. “Santu Saroru, beddu di facci e beddu di solu”( Sant’Isidoro, che il pane venga bene sia di sopra che di sotto) Allora ogni donna prendeva la sua tavola, se la metteva su una spalla e si avviava per infornare.
Lo sportello del forno a legna era aperto: dalla tavola i cannilera scivolavano dentro, sui mattoni di creta incandescenti. Lo sportello veniva chiuso. La fornaia sapeva quanto tempo occorreva per la cottura, senza usare nessun orologio. Tutte le donne del vicinato si mettevano in attesa con trepidazione. Chiacchieravano allegramente fino a quando l’anziana fornaia non apriva lo sportello del forno e cominciava a tirare fuori quei piccoli capolavori fumanti. Il profumo si diffondeva nel vicolo e arrivava in tutte le case. I cannilera fragranti e caldi venivano portati in casa per la gioia dei grandi e di noi bambini, che facevamo a gara per accaparrarci quel budellino di pasta attorno all’uovo . Questa nostra bella ci trasmette il senso della bontà di prodotti “primordiali”, ci parla della gioia della condivisione, dell’amore per le cose semplici e genuine, della nostra cucina povera, di quel senso di comunità che animava i nostri quartieri popolari, che ho avuto la fortuna di vivere.
Ringrazio la mia amica Antonietta Garaffa Di Marca per i suoi meravigliosi pani con le uova, che lei ha arricchito con tanti semi.
Bella ed esauriente descrizione di tutto il processo per fare li cannilera. Nostalgia di un tempo in cui ci si accontentava di poco e di cose semplici, quando essere poveri comportava tanti sacrifici, tante rinunce che si accettavano e si affrontavano con tanta dignità .