Siamo negli anni 60, quegli anni che definiamo “favolosi”, proprio quasi fossero una favola, agli occhi di chi oggi si volge indietro a guardare, come spesso facciamo noi, per rinverdire e ricordare le cose belle che hanno visto coinvolti quelli della nostra generazione. Iscriversi all’Università: non tutti lo potevano fare e non solo per motivi economici. Ma per chi lo poteva, era una conquista ambita, non una prassi scontata. Eravamo “matricole”, i nuovi iscritti. E aspettavamo con ansia la nostra festa, che si svolgeva qualche settimana prima del Carnevale. Pronti, con il nostro cappello di panno colorato dalla forma inconfondibile, aspettavamo la sfilata. Ciascuna facoltà aveva il suo colore. Rosa per Lettere e Filosofia; blu per giurisprudenza; rosso per Medicina e così via.
La festa durava una intera settimana e coinvolgeva non solo gli universitari, ma tutta la città in quel nostro centro storico pieno di vitali attività commerciali e artigianali uscite dal secondo dopoguerra.
Il Sindaco in carica consegnava agli universitari, simbolicamente, le chiavi della città e loro…beh! se ne impadronivano veramente diventando protagonisti di quelle giornate e invadendo strade e piazze con la loro allegria, gli scherzi e le goliardiche trovate di ogni genere, frizzi e lazzi!
Piccoli carri di cartapesta, che oggi ci appaiono rudimentali ma che all’epoca non lo erano. Occorrevano settimane per realizzarli, visto che erano gli stessi studenti a costruirli e decorarli con la collaborazione di qualche carrista amico loro. Con tanto di orchestrine a strombazzare per le strade canzoni e inni appositamente composti, facevano parte di un grande corteo che invadeva le strade del centro, con centinaia di cappelli colorati e una folla di ragazzi scatenati : “Evviva Sciacca, città di belle donne, noi siamo le colonne, noi siamo le colonne. Evviva Sciacca, città di belle donne, noi siamo le colonne dell’Università!”
Una delle “libertà” di cui si fregiavano gli universitari nei giorni della festa, era quella di “liberare” gli altri studenti e farli uscire da scuola per fare vacanza. D’accordo con il Preside del Liceo, alle 11, venivano a posizionarsi e a fare baccano con i loro fischietti sotto le finestre della scuola, con grande gioia degli studenti (ma di più delle studentesse), pronti a uscire come un fiume in piena e unirsi al corteo.
Preludio e vera anticipazione del Carnevale, la festa della matricola aveva il suo clou in Piazza Scandaliato, dove, sul palco, veniva recitato il copione, opera degli studenti e recitato da loro. In origine, sempre negli anni 60, collaborò con loro il poeta Vincenzo Licata e successivamente Ignazio Russo. Ma in seguito, fecero di testa loro.
Questi copioni sono dei piccoli capolavori di creatività, conditi da ironia, satira e abilità nel modellare le rime con naturale comicità della parodia.
L’ispirazione veniva sempre dall’ampio bagaglio mitologico, storico e letterario degli studenti liceali che, diventati universitari , mettevano in ridicolo personaggi ed episodi che li avevano fatti ampiamente soffrire sui banchi di scuola e che diventavano il bersaglio preferito delle loro battute.
Tra i personaggi che animarono la festa negli anni 60 ne spiccano alcuni che più degli altri erano veri animatori e protagonisti della festa. Qui sotto nei costumi di una festa ispirata, quell’anno, ai romanzi di Dumas.
La festa culminava con un veglione che si svolgeva nei locali del Grand Hotel delle Terme, con tanto di orchestra, smoking e abiti eleganti per le ragazze e l’elezione di Miss Matricola. Un appuntamento sentito e atteso tutto l’anno dalla gioventù di Sciacca, che di occasioni non ne aveva molte, in quei tempi. Per cui, la festa della matricola era un evento davvero importante e partecipato. Se lo abbiamo voluto ricordare è perché siamo convinti che questi piccoli tasselli della nostra storia cittadina vadano conservati nella nostra memoria e vengano conosciuti dalle nuove generazioni. Dobbiamo moltissimo all’entusiasmo, alla fantasia, alla creatività e alla voglia di vivere di questi giovani del tempo andato, se siamo quelli che siamo ancora oggi: un popolo che ama le feste, la gioia, la musica, il teatro, il Carnevale, la poesia declinata in ogni sua forma, dalla satira, alla lirica.
Dedico questo articolo alla memoria dell’amico Gino Alessi.
Un evento cittadino ormai dimenticato che hai ricostruito in modo ammirevole. Complimenti.
Grazie caro Pippo per i tuoi apprezzamenti.