“Ciuri ri maggiu viu e ciuri ri maggiu cogghiu, l’abbunnanza na la me casa vogghiu” “ Maju viju e maju cogghiu, a la me casa guaj nu’nni vogghiu” “ Maiu cogghiu e fortuna vogghiu” “Maiu viu, maiu cogghiu e li grazi di Diu nta la me casa vogghiu”.
“Il primo giorno di Maggio, i diavoli, sotto forma di vento, sono per aria e non danno requie ad anima viva…in alcune parti dell’agrigentino si scongiurano i diavoli tappando le fessure delle porte e delle finestre con immagini sacre…i meno timidi si confortano alzando sull’architrave della porta una corona di fiori di majo….e proprio in quelle ore si attaccano agli usci delle case i fiori di Maggio, affinchè i diavoli, passandovi e e vedendoli, tirino diritto.”
(Giuseppe Pitrè. “Canti, leggende , usi del popolo Siciliano.”)
A Palazzo Adriano (Palermo) gli sposi novelli attaccano al balcone una corona di questi fiori legandovi un bel nastro di seta a colore.
A Salaparuta (Trapani) per esempio, i fanciulli e le fanciulle se ne fanno collane, cinture, braccialetti; e siccome lo festeggiano il giorno 3, ricorrenza della “Invenzione della Santa Croce”, essi intessono certi luoghi fili di questi fiori, ne formano certe “giurlanni ‘ncruciati” (ghirlande incrociate), che essi portano nel Comune gettando fiori e cantando.
Questa tradizione tutta siciliana,si riallaccia a un’altra usanza, anche questa estinta, in altre regioni, relativa ai primi di maggio, la Maggiolata (“la majé” nel forlivese e la “frasché” nel ravennate), con rituali e contenuti simili al Calendimaggio. Il primo maggio, al mattino, a digiuno, si raccoglievano fiori e ramoscelli di alberi, (ramoscelli di biancospino, pampini di robinia o rami di pioppo), si intrecciavano tra di loro e si legavano alle porte e alle finestre e persino sui tetti delle case.
Questa usanza aveva lo scopo di propiziare l’abbondanza dei raccolti, impedire l’ingresso delle formiche in casa e nascondere loro la via per la dispensa ed i granai.
Continuando questa tradizione, nella nostra Sciacca degli anni 60, dove non c’erano molte industrie, ma solo attività legate al mare e alla terra, il Primo Maggio aveva un significato diverso da quello” storico” della Festa dei lavoratori. Era una festività legata alla natura, un omaggio all’arrivo della stagione calda con il suo tripudio di colori e profumi. Un’ uscita definitiva dall’inverno per immettersi in una socialità condivisa e genuina.
La mattina del 30 aprile, le strade del quartiere , dove allora abitavamo, era tutta un andirivieni di ragazze in festa. Erano molte le giovani da marito, “picciotti schetti” in quella strada del quartiere di San Michele. Bei vicoli e nei cortili si programmavano le uscite, le feste, le scampagnate. E nelle mattine come questa il programma prevedeva un appuntamento per tutte al tramonto per andare a raccogliere il majo (le margherite gialle)fuori Porta San Calogero.
Già. Negli anni 60 non c’erano ancora costruzioni fuori dalla cerchia delle mura. Era tutta campagna, tutto prati verdi. Le ragazze preparavano le ceste di vimini (coffe). Al tramonto, allegre e vocianti, salivano verso la zona alta del quartiere, ridendo e cantando. Arrivate fuori la Porta San Calogero, si faceva a gara a chi riempiva prima delle altre la propria cesta di margherite gialle, le più fresche, le più grandi. Una volta riempite le ceste, si cominciava a giocare tirandosi addosso lu maiu e li “ziti”, un cespuglio con aghi sottili che si incollava ai vestiti. Chi aveva addosso più aghi, aveva più “ziti”. A sera, il ritorno a casa. Ci si sedeva davanti alle porte e si cominciavano a fare i tappetini di margherite gialle da mettere l’indomani mattina davanti all’ingresso delle case.
Non c’erano automobili a disturbare la quiete e l’atmosfera festosa della vigilia di festa. Che spettacolo la mattina del Primo Maggio! Tutta la strada era tappezzata di giallo! Tappeti di maiu dappertutto! Secondo la tradizione contadina portavano fortuna. Si faceva a gara per confezionare corone, cinture, fasce tutte fatte di margherite cucite l’una all’altra, in un crescendo di creatività festosa. Il risveglio definitivo della natura era festeggiato da una popolazione fatta di gente semplice, modesta, povera, ma felice.
Foto mie e di Accursio Castrogiovanni da facebook