Non so voi, ma personalmente vivo questa sensazione: che la giornata dedicata alla Liberazione dal nazifascismo sia, da quelli della mia generazione, percepita, oggi, come qualcosa di veramente importante e significativo.
Il motivo è da attribuire al clima di angoscia che la situazione internazionale, con tanti conflitti in atto, ci trasmette attraverso i mezzi di informazione e altrettanto angosciante per la pesantezza delle controversie politiche in Italia e per la minaccia che ci sentiamo addosso che la nostra libertà sia in pericolo.
Fino a qualche anno fa, il 25 Aprile si aggiungeva alle tante festività che trasmettevano allegria e voglia di trascorrere una giornata in compagnia, una giornata di vacanza e di svago, al mare, in campagna, in gita. Per carità, sarà la stessa cosa anche nel 2024… ma non con la stessa spensieratezza e con la voglia di rievocazioni storiche, di cortei e ricordi di un popolo festoso, che sventola bandiere tricolori.
La guerra in Ucraina e il conflitto in Medio Oriente, le quotidiane polemiche politiche nazionali, gettano un’ombra minacciosa su di noi e sul nostro futuro. Il terrore di essere, prima o poi, coinvolti in un altro conflitto, ben più esiziale, agita le nostre notti.
Mai come oggi, sentiamo che la storia ci sovrasta con tutto il suo peso e che quello che i nostri padri e i nostri nonni ci hanno raccontato e che noi abbiamo ascoltato finora con occhi disincantati e distratti, in questo momento particolare, abbiamo il dovere di memorizzarlo bene, per farne tesoro e trarne insegnamento. Bombardamenti, carri armati, disagi, povertà, fame , malattie, morte.
Tutto questo è stato il secondo conflitto mondiale per i nostri parenti che lo hanno vissuto sulla loro pelle. Non sono soltanto le immagini dei documentari o le ricostruzioni dei film del Neorealismo ad aprirci gli occhi e la conoscenza sul passato. Sono i racconti della gente del popolo, come quello di mio nonno Antonino sul bombardamento del campo di aviazione della Chiana e, in seguito, sull’ “entrata degli americani”, che ci risucchiano in un passato non così lontano, eppure così tanto vicino.
“Abbitavamu ni li“rutti”. (Le grotte si trovavano sopra la zona cimiteriale. Erano delle caverne naturali , scavate nella roccia calcarea, caratteristica della zona che sale fino al Monte Kronio). Io con mia moglie Concetta e i miei figli Cecilia, Giuseppina e Leonardo, durante i bombardamenti degli anglo americani, abbiamo trovato rifugio in queste grotte.
La paglia ricopriva il pavimento su cui accovacciarsi, abbracciati, per dominare la paura e avvertire meno il freddo. Durante il giorno, la nostra famiglia aveva trovato alloggio presso una casolare messo a disposizione dal cavaliere Ciaccio, mio grande amico. Io facevo il muratore e lavoravo alla Chiana. Ero preoccupato per i miei. Mia figlia Cecilia con i suoi fratelli più piccoli era fuori di casa, alla ricerca di verdure. Il rombo dei bombardieri che dal mare si dirigevano verso la Chiana era terribile. Loro lo avvertirono da lontano, come un ronzìo minaccioso che si avvicinava sempre di più.
Cominciarono a correre verso le grotte, ma inciampavano nel terreno irto di rocce e cadevano per poi rialzarsi immediatamente. Non avevano scarpe adeguate. Cecilia aveva dei sandaletti leggeri a cui teneva comunque moltissimo, essendo , nonostante tutto, una bella ragazza da marito. Correvano come pazzi quel terribile giorno che segnò il destino del campo di aviazione della Chiana. I sandaletti si ruppero e lei non si fermò a raccoglierli. Scalza, teneva i suoi fratelli per mano, mentre i piedi le sanguinavano. Finalmente arrivarono alla grotta e si buttarono a terra, sfiniti dalla corsa e dalla paura. Arrivarono uomini con la terribile notizia della strage compiuta alla Chiana da quel terribile bombardamento. Tanti morti, soldati, ma anche civili. Per fortuna, io mi sono salvato. Al mio ritorno dalla Chiana, ci siamo abbracciati e piangevamo come bambini”.
Dopo qualche tempo gli alleati sbarcarono in Sicilia, decretando la fine di quel terribile conflitto. E venne il 25 aprile anche per le nostre famiglie. Nonno Nino, saggio e acuto, benchè piccolo di statura (lo chiamavano Mastro Antonino lu curtu) impose a tutte le donne della famiglia che da anni portavano il lutto e quindi erano vestite di nero, di procurarsi degli abiti colorati. “Traseru l’americani!””Fazzi chi nni scancianu pi fascisti!”.
Questi gli stati d’animo della gente del popolo. La loro gioia per quella giornata che li liberava non solo dai fascisti e dai tedeschi, ma anche da un’oppressione che gli aveva tolto la vita per tanti anni, ci insegna che c’è un valore che abbiamo il dovere di tutelare per noi e per i nostri nipoti: la libertà!