Articolo di Giacomo Di Girolamo sul giornale online LINKIESTA.it
«Qual è il simbolo della Sicilia secondo te?», mi chiesero anni fa per uno di queste antologie di racconti che ogni tanto si fanno per descrivere i luoghi e il loro tempo. La transenna, risposi, senza esitazione. La transenna: questa è l’immagine che ho oggi della Sicilia. Raccontai quello che accadeva nel lungomare della mia città, ma che avevo visto altre volte, da Palermo in giù. Si era aperta una piccola voragine sul marciapiede (e per forza, sotto la strada, in pratica, c’era il vuoto, il mare negli anni si era mangiato tutto…) e allora il Comune, senza soldi e senza idee, aveva fatto quello che si fa sempre in questi casi: aveva messo una transenna accanto la buca, per evitare che qualcuno cascasse giù. Dopo due giorni di polemiche e lamentele i cittadini ci avevano fatto l’abitudine alla transenna, ormai diventata elemento di arredo urbano, ostacolo da aggirare durante le passeggiate.
Dopo un po’ era diventata anche un punto di riferimento. Ricordo di aver letto in un foglio locale di un incidente stradale avvenuto «per un sorpasso incauto avvenuto sul lungomare, all’altezza della transenna». Gli si voleva quasi bene, a quella transenna lì. Nel disinteresse generale, il buco della strada, dal quale si poteva intravedere il mare, si era ingrandito, ed il Comune aveva prontamente risolto l’aggravarsi della situazione. Con un’altra transenna; simbolo della gestione della cosa pubblica in Sicilia, del provvisorio che diventa definitivo.
Se dovessi raccontare oggi, nel mese di luglio del 2024, qual è il simbolo della Sicilia, non esiterei: l’autobotte. Se avessi un po’ di risparmi da parte (le autobotti costano) ne comprerei una, anche per avviare un’attività per il futuro dei miei figli. Un’autobotte in Sicilia, oggi, vale quanto un taxi a Roma. Anzi di più. L’autobotte è duplice: porta l’acqua agli assetati, spegne gli incendi. Ed è oggi l’oggetto più desiderato. Si trova a partire da cinquantamila euro. Dai comuni, che implorano la Regione per averne di nuove o per riparare le vecchie; dalla Regione, che le chiede in prestito a Protezione Civile ed esercito; dalle famiglie: avere un pizzino con il numero di «quello dell’autobotte» significa avere una valvola di salvezza nella terribile siccità siciliana. Essere «quello dell’autobotte», poi, è proprio uno status. Neanche un sindaco costa così tanto. Decidi tu tutto, quando ti chiamano. Ad esempio, se puoi andare e quando puoi andare, senza nessun tipo di intermediazione. Decidi soprattutto il prezzo. Un «viaggio», di una normale autobotte, adesso costa anche tre volte rispetto a giugno. Siccome non c’è un tariffario, ma tutto è affidato al mercato nero, fare quotazioni è difficile, cambiano a seconda della zona, della giornata, del capriccio. Prima, un «viaggio», aveva un costo standard di cinquanta euro, per le botti piccole standard, duecentocinquanta euro per quelle per gli alberghi e le aziende. Adesso si va dai cento ai mille euro.
Se sei «quello dell’autobotte», inoltre, decidi anche il tipo di acqua. E lì il tale si dimostra anche imprenditore sopraffino: perché al telefono ti fa due prezzi. Uno per l’acqua «buona». L’altro, invece, più basso, per un’altra acqua, «che è pure buona», ti dice. Ma con una raccomandazione: «Non la deve usare per cucinare». Ovviamente tutto avviene in nero. Bisogna solo pagare, in contanti, e sorridere (e approfittare per farsi una doccia). Da dove venga l’acqua è un problema che le autorità non si pongono. In un Paese normale, magari, oltre a imporre dei prezzi per evitare l’assurda corsa al rialzo di questi giorni, le autorità avrebbero seguito quest’acqua fino alla fonte – probabilmente dei pozzi, ma c’è anche ci ha deviato il corso di alcuni torrenti – e li avrebbero sequestrati in nome del bene comune. Ma per una politica che ragiona sempre con la tecnica della «transenna» (tamponare, tamponare, qualcosa poi accadrà), tutto ciò è fuori registro.
L’autobotte è ormai elemento comune nel traffico delle città siciliane. Le incontri dappertutto, a qualsiasi ora, con questi operai con le magliette fradicie intenti a maneggiare bocchettoni e pompe, e a maledire le cisterne nascoste, gli attici inarrivabili, i cortili troppo stretti, sorvegliati da famigliole sudate e in attesa. La richiesta è tanta, le autobotti comunque poche, ognuno si arrangia come può. Chi va dal parrucchiere può trovarsi anche davanti a un avviso di questo tipo: per oggi solo taglio e piega, signora mia. Non abbiamo acqua per lo shampoo.
Nel frattempo, ogni giorno registra la sua pena e le sue cifre. Gli ultimi a scendere in piazza sono gli addetti al florovivaismo. «Solo nella piana di Catania – dice Mario Faro, di Coldiretti – ci sono perdite dell’ottanta per cento e danni per cento milioni di euro, in un comparto che in Sicilia mantiene millecinquecento famiglie». Per Faro la colpa non è della siccità ma di «trent’anni di inefficienze della politica siciliana». Da anni, infatti, gli operatori segnalano problemi strutturali nella gestione dei Consorzi di bonifica. «Se fossero stati risolti in tempo – spiega – oggi avremmo le risorse per affrontare la crisi. Invece va avanti solo chi può contare sui propri pozzi. Gli altri vedono le proprie piante morire di sete». L’Università di Palermo calcola invece nel 60 per cento la perdita per quanto riguarda il grano duro.
A proposito di cifre gli ultimi dati sono quelli dell’Ispra, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. La Sicilia ha toccato il record di trecentotrenta giorni senza pioggia in dodici mesi. E tiene anche un altro primato, quello dei giorni consecutivi all’asciutto: centosessantacinque. Il lago Pergusa, l’unico grande lago naturale in Sicilia, si è asciugato. Stessa agonia per l’Ogliastro (un invaso da cento milioni di metri cubi d’acqua). In tutti gli invasi siciliani ci sono centoventuno milioni di metri cubi d’acqua, il diciassette per cento del totale).
Agli uffici della Regione sono arrivate quindicimila istanze per avere il foraggio gratis. La distribuzione, nel centro della Sicilia, avverrà la settimana prossima. Il costo per le casse regionali è di venti milioni di lire. Si vuole così dare un freno a un triste fenomeno che sta avvenendo in questi giorni, con decine di allevatori di bestiame che preferiscono portare gli animali al macello, piuttosto che assistere alla loro denutrizione (ogni bovino tra l’altro, ha bisogno di cinquanta litri d’acqua al giorno. Nella siccità impari anche questo). L’Università di Palermo calcola nel 60 per cento la perdita per quanto riguarda il grano duro. Il professore Baldassare Portolano, docente alla facoltà di Scienze Agrarie, dice che, in base ai dati: «Siamo vicino ad un punto di non ritorno».
Se si tratta di catastrofismo o realismo ce lo diranno le prossime settimane. Nel frattempo, i signori delle autobotti continuano a girare e a fare affari d’oro.
P.S. Adesso, che sono passati tanti anni e diverse transenne, il lungomare del mio Comune è crollato. Il buco è diventato voragine e ha fatto il suo. Finalmente si faranno i lavori, grazie a un «appalto urgente». Potere delle transenne.