Il responsabile della Protezione Civile regionale durante il suo intervento ad Agrigento

Il fallimento del sistema idrico e politico regionale ricade sulle spalle dei sindaci.

È questo il più immediato commento che suscita l’esito della riunione svoltasi stamattina in Prefettura con i sindaci dell’ambito idrico agrigentino, con AICA, ATI, il Prefetto e il capo della Protezione Civile siciliana, Cocina.

L’indicazione, anzi la direttiva, che ne è scaturita è stata così riassunta: la situazione è drammatica, anzi di più, i sindaci che conoscono il loro territorio provvedano a trovare o a requisire nuovi pozzi da cui poter attingere l’acqua per uso potabile e irriguo, oltre che ad acquistare autobotti con i fondi messi a disposizione della Regione.

Nessuno può certamente criticare o contestare, in una situazione drammaticamente emergenziale come quella attuale, la scelta di investire i sindaci di ogni responsabilità anche sotto il profilo della protezione civile, ma ci sia consentito di evidenziare nel contempo l’estrema dissonanza di questo “atto dovuto” con quelle che sono le cause dell’attuale crisi idrica, che affondano le proprie radici in decenni di malgoverno politico, innanzitutto regionale e poi anche locale.

È fuorviante chiamare in causa la situazione di gravissima siccità, che purtroppo c’è e nessuno nega essere di per sé un grande problema, ma quando il 60% circa dell’acqua che arriva dai pozzi si disperde per strada a causa delle mille rotture della rete idrica pubblica prima di arrivare ai rubinetti delle abitazioni, allora bisognerebbe avere quanto meno il buon gusto di non additare a colpevole la siccità.

Quando si decide di passare la palla delle responsabilità ai sindaci, per chiudere le porte della stalla quando i buoi sono già scappati, bisognerebbe avere il buon gusto di farlo solo dopo aver rassegnato un quadro davvero chiaro e veritiero della situazione.

Così, solo per fare qualche esempio.

Quali sono i motivi per cui Sicilacque ha significativamente ridotto la fornitura di acqua ad AICA? Nessuno ce lo dice: si potrebbe ritenere che sia una conseguenza della siccità, ma non risulta che le falde acquifere ne abbiano ancora risentito. A chi e a quale scopo viene destinata l’acqua che Sicilacque forniva prima ad AICA e quest’ultima ai comuni dell’agrigentino?

Perché entrambi i due pozzi aggiuntivi di Grattavoli non sono stati pronti entro la prima decade di agosto, come era stato ripetutamente assicurato? Nessuno ce lo dice.

Perché non vengono applicati limiti e sanzioni contro il dilagante caro prezzi del trasporto delle autobotti? Nessuno lo dice. Nessuno lo fa.

Gli 8 comuni che autogestiscono la propria rete idrica sono chiamati anch’essi a contribuire alla solidarietà d’ambito provinciale, cedendo un po’ della loro acqua in nome della condivisione, mentre i sindaci degli altri 35 comuni sono impegnato a “cercare nuovi pozzi”? Nessuno lo dice.

In una situazione di evidente e drammatica emergenza che investe inevitabilmente l’intera struttura di AICA anche sotto il profilo delle esigenze finanziarie, non sarebbe da considerarsi “il minimo” indispensabile che le autorità di governo trovino il modo di imporre a tutti i 35 comuni soci dell’AICA di versare il “dovuto” in termini di capitale sociale? Per una questione di moralità e di dignità pubblica, questo dovrebbe essere il primo problema ad essere affrontato, per evitare che ci siano comuni che hanno assolto i propri doveri finanziari e che devono subire la beffa di mettere a disposizione l’acqua prelevata dai pozzi del proprio territorio a favore di comuni totalmente inadempienti nei confronti di AICA.

Ma anche quest’ultimo è un segnale della crisi di un sistema politico che ha ridotto alla sete la Sicilia, il cui sottosuolo è il più ricco di acqua del territorio italiana.

Ma adesso state tutti tranquilli, arrivano i nostri sindaci e risolvono tutto, trovando e requisendo nuovi pozzi, e acquistando autobotti…

Se non ci fosse da piangere, ci sarebbe soltanto da ridere.