di NINO SANDULLO

C’era una volta il mercato ittico.

Essendo ormai più libero, poiché in pensione, spesso scendo alla marina ad assistere alla vendita del pesce.

Qui purtroppo non è ancora tornato disponibile il Mercato ittico, dove la vendita del pescato era una volta qualcosa di veramente bello.

Ricordo che da ragazzo ci andavo spesso ed ero attratto dalle grida con cui gli astatori abbanniavano il pesce.

Un caos tremendo. Un vocio esorbitante. Un continuo sovrapporsi di grida e rumori mentre la vendita proseguiva velocemente tra una abbanniata e l’altra.

Nell’immenso capannone, miste al rumore dei motori delle ape-car che trasportavano il pesce, rimbombavano le voci degli abbanniatori che a squarciagola gridavano:

Mirruzzu! Trigghia! Ammaru! Sauri! A cu un ci attisa! che altro non erano che lumache di mare o babbaluci/uccuna così soprannominate per il loro noto potere afrodisiaco.

Adesso tutto questo fascino del mercato al chiuso del nostro porto non c’è più. Il pesce viene quasi tutto direttamente caricato in camion frigo per essere trasportato a Palermo. Solo una piccola parte viene venduta al porto, dopo esser stata sistemata nell’ape car parcheggiata sulla banchina accanto al peschereccio.

Mi affascina sempre ascoltare la colorita contrattazione tra il venditore e gli acquirenti: sembra di essere in un Suq del nord Africa. A volte i dialoghi sono esilaranti. Sia chi vende che chi acquista si sente sempre derubato o preso in giro. Girando gli occhi all’interno del peschereccio, osservo i marinai che sistemano ancora il pescato del giorno e rifletto su quanta fatica fanno in questo loro lavoro, a volte per non guadagnarci perché il costo del carburante è salito alle stelle.

Successivamente lo sguardo ritorna sulle cassette di polistirolo adagiate sull’ape car e vengo attratto dagli occhi di alcuni pesci e soprattutto di quello più grosso, il palombo liscio. Mi soffermo a guardarlo poiché sembra che mi voglia comunicare qualcosa; come se volesse dirmi: perché sono qui? Dove sono i miei amici, la mia famiglia? Il suo sguardo mi rattrista un po’ ma poi ci penso su e mi dico che è il suo destino: essere cucinato per diventare buon cibo.

Questa è la vita e il giusto equilibrio della natura…, ma quello sguardo, alla ricerca di qualcuno o di qualcosa, ritornandomene a casa, lo porto con me.

NINO SANDULLO