Quando si parla di tormentoni ci riferiamo a frasi musicali che rimangono nella memoria e che richiamano immediatamente immagini mai dimenticate. “Maruni? No! Tistetta” “Cantanu e currinu” “Astuta stu focu e pigghia sta pompa” “Lu scecu chi c’è cca!” e via dicendo. E le immagini che ci richiamano sono quelle dei minicarri, ovvero i carri di categoria B, come i burocrati del Comune li definivano negli anni di crescita della nostra festa. Abbiamo più volte detto che lo spirito vero del Carnevale è il suo humus popolare. Non si concepirebbe altrimenti il successo che tra la fine degli anni 80 e nella prima metà degli anni 90 ebbero queste travolgenti realizzazioni.
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La loro genesi si potrebbe vedere nella possibilità di ampliare quelli che nel decennio precedente erano i gruppi a terra. Mancava in tali gruppi il supporto musicale e, inoltre, il numero dei partecipanti era limitato. I minicarri rimediarono a queste mancanze.
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In primo luogo una piccola struttura, in cartapesta e non solo, che potesse ospitare le casse per mandare un inno durante la sfilata. In secondo luogo la possibilità di costumi non troppo complicati, ma alla portata di tutti , anche all’ultimo momento. Il terzo, ma non il meno importante elemento, la possibilità di partecipazione a un numero illimitato di persone. Fu questa una chiave di svolta del nostro Carnevale e un successo senza precedenti che coinvolgeva soprattutto le giovani generazioni.
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La possibilità di partecipare alla sfilata con un semplice bus come nella foto quella del minicarro mitico “Gli emigrati”, senza copione e con costumi improvvisati fu la molla che, di anno in anno, rese la partecipazione di queste piccole entità di spettacolo, sempre più numerosa. Era prodigioso assistere alla crescita a dismisura dei partecipanti ai minicarri, giorno dopo giorno. Sì, perchè i ragazzi, nell’arco delle 24 ore, si procuravano facilmente i costumi adatti. Pensiamo agli emigranti: un valigia di cartone, un pantalone di velluto, una giacca usata di papà o nonno. Il gioco era fatto. Non costava nulla e consentiva di sfilare per tutti i giorni di Carnevale insieme agli amici e divertirsi come matti cantando a squarciagola un inno, strettamente in dialetto e con un testo popolarissimo. Quindi , se il giovedì’ , al seguito del minicarro c’erano cento ragazzi, la sera del venerdì erano il doppio…e così via. “I pompieri” con “Astuta stu focu e pigghia sta pompa” che è stato in seguito adottato per il rogo di Peppe Nappa ne è un esempio. Erano un esercito, una folla incontenibile. “T’a rassi nna scuzzata!” “Ciucciati il calzino”
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Chi di noi non ha cantato, almeno una volta, questi motivi? La mia memoria non basta però per ricordarli tutti , anche se l’impagabile Pippo Verde, nella sua opera “Cannalivari” li enumera uno per uno. Ho cercato e ho chiesto le foto di allora, ma ne ho trovato solo poche. Compositori degli inni dei minicarri? Una miriade di autori. I più attivi: Accursio Sclafani, Michele Bruno, Pasquale Sabella, Pippo Graffeo, Michele Termine, Vincenzo D’Asaro, Nicola Maietta, Baldo Sclafani, Calogero Gulino. Non posso enumerarli tutti. Lo ha fatto Pippo Verde nella sua preziosa pubblicazione già citata.
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Erano gli inni la vera forza dei minicarri. Il successo di questi carri di seconda categoria era incontenibile, al punto da preoccupare gli organizzatori del Carnevale. Quella folla di ragazzi intasava la sfilata e la ritardava, se teniamo conto che , all’epoca c’erano dai 12 ai 14 carri in sfilata. Ma portavano tanta allegria e tanta vita. Si sono “estinti ” nel 2010. Un vero peccato, secondo me. Erano il vero spirito del Carnevale. Spontaneo, allegro, spensierato, popolare.