Anche un giornale civico cittadino come ServireSciacca è tenuto a rivolgere lo sguardo alla polica nazionale dinanzi ad un evento storico come quello avvenuto nelle urne elettorali del 25 settembre 2022: più che quello di un partito o di una coalizione, la vittoria ha un nome e cognome ben preciso: quello di Giorgia Meloni. ServireSciacca lo fa utilizzando l’articolo con il quale Antonio Polito ha descritto sul Corriere della Sera la storia politica della presidente di FdI Giorgia Meloni.

Se Giorgia Meloni sarà la prima donna a Palazzo Chigi, lo dovrà in buona parte a due uomini: Silvio Berlusconi e Ignazio La Russa. Fu il secondo infatti a proporre, e il primo a concedere, una singolare norma del Porcellum per la quale sarebbe entrato in Parlamento anche il primo tra i partiti rimasti «sotto soglia», che cioè non avevano raggiunto il 3%. Così, quando dalla dissoluzione del Popolo della Libertà nacque dieci anni fa Fratelli D’Italia, il previdente Ignazio e la giovane Giorgia riuscirono a scappottare un misero 1,96% alla prima prova elettorale, nel 2013, e a conquistare un manipolo di nove deputati (nessun senatore). Il tentativo del piccolo raggruppamento di reduci della destra, di provenienza missina, sarebbe altrimenti morto sul nascere e la storia d’Italia avrebbe preso un’altra piega (cinque anni prima Storace aveva anche preso più voti, ma fallì la soglia elettorale e finì nell’oblio).

Le ondate elettorali non sempre favorevoli

La scialuppa della ex «draghetta» di Azione Giovani ha rischiato del resto più volte di finire travolta dalle ondate elettorali. Un anno dopo il «salvataggio» firmato Ignazio, i Fratelli non centrano il quorum alle Europee del 2014 (con il 3,7%, la soglia era al 4%), e lei non viene eletta. Nel 2016 corre a Roma, per diventare sindaco; «tradita» da Berlusconi arriva solo terza, anche se con un buon successo personale. E nel 2018, appena quattro anni fa anche se oggi sembra un secolo, ottiene alle Politiche solo il 4,3%. Confermando il sospetto che il suo partito sia solo l’ostinato residuo di un’altra era politica.

L’esame di maturità

Eppure un anno dopo, di nuovo alle Europee, Giorgia passa il primo esame di maturità: un robusto 6,4%. Ancor più soddisfacente perché ottenuto mentre la Lega del «cugino» Salvini balza a un clamoroso 34,3%. È il primo segno che il neo-sovranismo di Matteo non ha prosciugato lo spazio di una destra nazionalista e nativista; e che Giorgia sarà anche piccola, ma è tosta. Posso raccontare una confessione che mi fece qualche anno dopo, quando aveva ormai finito di mangiare il pane nero di chi vive sempre sul filo del quorum, in una vita di stenti elettorali. «Quella volta, alle Europee del 2019, i sondaggi non ci davano la certezza di farcela. Io avevo deciso di mollare: se non avessi superato la soglia mi sarei fatta da parte, spazio a qualcun altro. Nella vita devi prendere atto quando una cosa che hai fatto non funziona». Invece la Provvidenza, che evidentemente aveva altri progetti per lei, stese la sua mano protettrice e salvò la leadership di Giorgia

La risposta della gente

Si possono avanzare molte ipotesi su come abbia fatto una giovane donna, sicuramente una professionista della politica, ne mastica fin da ragazza, ma tutto sommato senza una grande storia alle spalle (famiglia modesta, studi fermi al diploma, un immaginario fantasy-fiabesco da «generazione Atreju») a salire dal 4% al 26% in cinque anni. La mia risposta preferita è quella che mi ha suggerito qualche giorno fa un inviato del giornale francese Le Figaro. Lui è andato tra la gente per strada, e a tutti coloro che avrebbero votato Giorgia ha chiesto: che cosa vi ha convinto? Quale proposta nel programma, quale promessa? Nessuno ne ricordava nessuna. Ci pensavano un po’, e poi concludevano: la voto per la coerenza.

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