Si ritiene di offrire un servizio in termini di conoscenza della verità riprendendo anche su ServireSciacca la seconda parte, pubblicata oggi su FocusSicilia, dell’articolo sulla storia recente delle Terme di Sciacca, a firma del Prof. Rosario Faraci, profondo conoscitore della tematica termale, professore universitario ordinario di Economia e Gestione delle Imprese all’Università degli Studi di Catania, ove tiene gli insegnamenti di Principi di Management, Marketing, Innovation and Business Models. È delegato del Rettore aIl’Incubatore di Ateneo, Start-up e Spin-off, presidente del comitato scientifico di Start Cup Catania e consigliere nazionale dell’associazione PNI Cube. E’ stato Visiting Professor di Strategic Management alla University of Florida.
Avevamo pubblicato in data 2 giugno la prima parte, che riportiamo in coda dopo l’articolo odierno:
LA TRISTE FINE DELLE TERME DI SCIACCA, OVVERO QUANDO LA BUROCRAZIA UCCIDE
Il termalismo siciliano corre sul binario Sciacca-Acireale. Due città diverse, accomunate da tante caratteristiche (città di mare, il Carnevale, la vocazione turistica) e dal medesimo destino, quello di vedere sgretolato il grande patrimonio termale per colpa della balbettante politica e, ancor di più, della potente burocrazia regionale. Tutto è cominciato con la sventurata decisione di mettere in liquidazione le due società partecipate che, nate nel 2006 a seguito del conferimento dei beni, crediti, debiti e diritti appartenenti alle rispettive aziende autonome e dunque già segnate fin dall’inizio nella loro sorte economico-aziendale, appena tre anni dopo venivano condannate a morte dalla legge regionale del 2010.
COSTI INSOSTENIBILI
Abbiamo raccontato dei primi tre anni di Acireale. Adesso facciamo la stessa cosa per Sciacca. Il primo bilancio, quello chiuso al 31 dicembre 2006, fece registrare un rosso pari a 475.739 euro su un fatturato superiore ai due milioni di euro, determinato in parte dal corrispettivo delle prestazioni termali in convenzione, in altra parte dai ricavi di gestione del Grand Hotel delle Terme. Sul risultato d’esercizio furono determinanti due voci: il costo del personale per 809.460 euro e il costo per servizi di poco inferiore a settecentomila euro. Vicino a 200 mila euro invece fu il costo della governance per sindaci ed amministratori, con un consiglio di amministrazione presieduto dal dottor Carmelo Cantone. A onor del vero, gli amministratori dell’epoca fecero presente alla Regione siciliana che era aziendalmente impossibile mantenere tutte le unità lavorative in forza alla società delle Terme, dato che i ricavi non espandibili non erano in grado di coprire tutti i costi, in particolare quelli del personale. Come per Acireale, anche a Sciacca gli zelanti burocrati regionali chiesero però la predisposizione di un piano industriale per fronteggiare la situazione. Non andò meglio l’anno successivo.
IL RUOLO BIFRONTE DELLA REGIONE
Il 2007 fece registrare una perdita d’esercizio di 373.872 euro. I debiti, ereditati dalla vecchia azienda autonoma, che il primo anno erano stati di poco superiori a tre milioni di euro, aumentarono di ulteriori 350 mila euro, a fronte di crediti pari a 1.687.895 euro. Come per Acireale sullo stato di salute della società delle Terme di Sciacca pesò un’altra spada di Damocle. In bilancio vennero iscritti crediti verso soci per versamenti dovuti pari a 1.835.000 euro, corrispondenti alle azioni sottoscritte dal socio Regione siciliana l’anno prima. Quell’aumento di capitale sociale, evidentemente suggerito dalla burocrazia regionale, fu contestato però come aiuto di Stato e quindi, in sede di verbalizzazione, fu la stessa Regione a sollevare il problema. Gli amministratori fecero presente che, in assenza di quelle risorse, ogni tentativo di risollevare le sorti aziendali sarebbe stato vano, perché la situazione dal punto di vista finanziario era di per sé già appesantita dalla questione del personale. La Regione fece orecchie da mercante. Però ci sia consentito rilevare un paradosso: con la mano destra la burocrazia suggeriva e consigliava, con quella sinistra puniva e vietava.
IL COLPO DI GRAZIA
Il terzo anno di questo calvario diede il definitivo colpo di grazia. Nel 2008, a fronte di ricavi pressoché stabili – ma vallo a spiegare ai burocrati regionali che il fatturato delle aziende termali è tendenzialmente stabile nel tempo alla voce prestazioni convenzionate – la perdita di esercizio fu di 883.151 euro. I debiti superarono i quattro milioni di euro. Rinviando ogni anno la perdita all’esercizio successivo, nel frattempo il patrimonio netto cominciava ad erodersi. Anche per questa annualità il Cda presieduto dal dott. Cantone provò a giustificare, con le motivazioni di sempre, i risultati negativi. Per difendersi da responsabilità, intimò alla Regione Siciliana di versare l’aumento di capitale deliberato due anni prima, ma con grande astuzia e abilità dei suoi burocrati la mamma Regione postergò ogni decisione al 31 dicembre 2009, prolungando così l’agonia della società.
SCARICABARILE VERSO IL BARATRO
Il bilancio al 31 dicembre 2009 venne firmato dal dottor Carlo Turriciano, nel frattempo subentrato quale amministratore unico al Consiglio di Amministrazione guidato da Cantone. Anche l’uomo forte nominato dalla politica regionale non riuscì a far nulla per impedire il lento scivolamento delle Terme di Sciacca verso il baratro. La perdita di esercizio fu superiore ai tre milioni di euro, i debiti schizzarono a 7.450.378 euro, il costo del personale raddoppiò rispetto all’anno precedente. Sul risultato pesarono gli oneri di competenza degli esercizi precedenti e dunque iniziò da allora il balletto dello scaricabarile fra i diversi amministratori che si succedevano alla guida delle Terme. La dottoressa Filippa Palagonia, in rappresentanza del socio Regione, insieme al dottor Francesco Valenti, commissario straordinario dell’azienda autonoma, approvarono quel bilancio. Per il resto, è storia nota. Dal 2010 iniziò il calvario della liquidazione e da allora, sia per Sciacca che per Acireale, è stata una lunghissima agonia”.
Rosario Faraci
TERME DI SCIACCA E ACIREALE ALLO SFACELO E CON 43 MILIONI DI DEBITI di Rosario Faraci
(prima parte)
GIUGNO 2, 2021
Viene pubblicata oggi su FocusSicilia la prima puntata dell’articolo che segue, a firma del Prof. Rosario Faraci, professore universitario ordinario di Economia e Gestione delle Imprese all’Università degli Studi di Catania, ove tiene gli insegnamenti di Principi di Management, Marketing, Innovation and Business Models. È delegato del Rettore aIl’Incubatore di Ateneo, Start-up e Spin-off, presidente del comitato scientifico di Start Cup Catania e consigliere nazionale dell’associazione PNI Cube. E’ stato Visiting Professor di Strategic Management alla University of Florida. È giornalista pubblicista dal 1987. Profondo conoscitore della tematica termale. Riprendiamo su ServireSciacca la prima parte di questo qualificatissimo intervento, per la sua indubbia importanza relativamente ad una più approfondita conoscenza della problematica termale siciliana, che così da vicino ci riguarda come città.
“ In oltre dieci anni, piuttosto che risollevare le sorti dei due complessi termali, un tempo fiore all’occhiello per la Sicilia, si è sperperato denaro e si è ridotto il patrimonio netto delle due società.
Oltre 43 milioni di euro tra debiti (nello stato patrimoniale) e perdite (nel conto economico). A tanto ammonta il “conto salato” di dieci anni di liquidazione delle società Terme di Acireale e Terme di Sciacca, le due partecipate costituite nel 2006 (ai tempi del governo presieduto da Totò Cuffaro) per soppiantare le vecchie aziende autonome e continuare a legittimare il desiderio politico di avere una Regione imprenditrice nel settore del termalismo.
LIQUIDAZIONE E BALLETTO DI COMPETENZE
Dopo tre anni di perdite consecutive riferibili all’attività di due distinti consigli di amministrazione, le due società vennero poste in liquidazione. Si dava seguito così all’art.21 della legge regionale 11 del 12 maggio 2010 che decretava, oltre la messa in liquidazione, anche l’avvio delle procedure di affidamento della gestione ai privati, mediante una gara ad evidenza pubblica. Da quel momento preciso, nonostante promesse, proclami e il solito gioco al rimpiattino sia all’interno del governo che fra maggioranza ed opposizione, la politica è stata in buona parte esautorata e tutta la faccenda è finita nelle mani dei burocrati regionali, con distribuzione di competenze fra Ragioneria generale, Ufficio liquidazioni ed area legale.
TRE GOVERNI E NESSUNA SOLUZIONE
In questi dieci anni, si sono susseguiti tre governi, guidati da Raffaele Lombardo, Rosario Crocetta e Nello Musumeci. Con i tre presidenti alla guida, si sono alternati diversi assessori all’Economia: Michele Cimino e Gaetano Armao (governo Lombardo), Francesca Basilico D’Amelio, Luca Bianchi, Roberto Agnello e Alessandro Baccei (governo Crocetta), Gaetano Armao (governo Musumeci). All’interno del Dipartimento di via Notarbartolo a Palermo si sono alternate tre donne dirigenti preposte all’Ufficio liquidazioni: Filippa Palagonia, Grazia Terranova e l’attuale Rosanna Signorino.
I liquidatori sono stati in complesso nove. A Sciacca, Carlo Turriciano ininterrottamente dal 2010. Ad Acireale si sono succeduti in ordine temporale Margherita Ferro e Michele Battaglia, Luigi Bosco, Gianfranco Todaro, e infine il triumvirato Francesco Petralia, Antonino Oliva e Vincenza Mascali, quest’ultima poi sostituita da Alessia Trombino.
PATRIMONIO RIDOTTO DI 38 MILIONI
In tutto il periodo che va dal 2006 al 2020, il costo della governance, considerati i compensi ad amministratori, liquidatori, sindaci e revisori, è stato considerevole. Conti alla mano, soltanto ad Acireale è stato superiore al milione di euro.
Dieci anni di liquidazione sono bastati per decrementare il patrimonio netto delle due società di oltre 38 milioni di euro, di cui soltanto ad Acireale per una trentina di milioni. Nel frattempo, l’organico si è ridotto a pochissimi dipendenti: 1 ad Acireale, 3 a Sciacca. Gli stabilimenti sono chiusi da tempo. L’ultimo fatturato generato dall’attività termale è stato di 3.000.000 di euro per Sciacca (al 2017) e di euro 373.192 per Acireale (al 2014).
MAI POSTO IL DANNO ERARIALE
Nella cittadina saccense bagnata dalle acque del Mediterraneo, che sul termalismo fonda la propria economia turistica più di quanto non avvenga in quella barocca sita nel suggestivo litorale jonico, per ben tre volte si è provato a dare in affidamento la gestione ai privati, ma senza alcun esito. Il bando è andato sempre deserto.
Ad Acireale la privatizzazione non è mai iniziata. Per lungo tempo, c’è stata la spada di Damocle del fallimento giudiziario, fin quando la Regione non ha riacquistato per 9,2 milioni di euro due importanti cespiti, l’ex albergo Excelsior Palace e il centro polifunzionale, portando ad unificazione l’intero patrimonio immobiliare.
Fa specie che, nonostante questo spreco di risorse pubbliche, nessuno lo abbia mai posto la questione del danno erariale alle casse regionali”.