In occasione dell’ultimo consiglio comunale, il consigliere Calogero Bono (FdI) nel corso del dibattito sulla crisi idrica ha sollevato una questione sicuramente importante, che non ha ottenuto l’attenzione che invece merita.

In questo momento AICA (Azienda idrica dei comuni agrigentini), l’azienda pubblica consortile costituita dai 43 comuni dell’ambito idrico agrigentino, è sotto il fuoco incrociato delle critiche che le arrivano un po’ da parte di tutti, ma la questione sollevata da Bono è esplicativa del fatto che le responsabilità di come sono andate finora le cose (male) sono anche di quanti oggi indossano i panni dell’accusatore.

In buona sostanza, lo statuto di AICA prevede uno apposito strumento per consentire ai Comuni di esercitare il controllo sulla gestione tecnica ed economica della stessa AICA. Tale strumento si chiama “Ufficio di controllo analogo”, e dovrebbe essere composto da dirigenti, funzionari o personale rappresentanti di almeno 10 Comuni (soci).

Questa fondamentale azione di vigilanza sugli atti gestionali compiuti da AICA nell’esercizio delle sue funzioni non è stata invece mai concretamente svolta perché questo “ufficio di controllo analogo” non è in realtà mai entrato in funzione, anzi non è neanche nato perché perché i Comuni che avrebbero dovuto nominarne i componenti non lo hanno fatto.

A nulla sono serviti i continui solleciti che il presidente dell’assemblea dei sindaci di AICA ha inviato a tutti i sindaci affinché i loro Comuni provvedessero all’individuazione del personale in possesso delle necessarie competenze da utilizzare per l’espletamento del “controllo analogo”, a tutela degli stessi soci di AICA (ossia i Comuni).

Queste le date dei solleciti (con tanto di protocollo): 06.10.2021, 17.11.2021, 18.02.2022, 17.06.2022, 11.11.2022, 20.01.2023, 07.02.2024, 28.05.2024.

Soltanto i comuni di Agrigento, Grotte, Sambuca di Sicilia e S Angelo Muxaro hanno provveduto a tali nomine, per tutti gli altri si può dire che “non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”.

Richiedendosi per tale “ufficio di controllo analogo” una composizione di almeno 10 comuni, tale organo non si è potuto costituire, ragion per cui la gestione delle delicatissime e importantissime funzioni strumentali e tecniche in capo ad AICA non è mai stata fatta oggetto di alcun controllo da parte di un ufficio munito della necessaria competenza, causa l’inerzia dei suoi stessi soci, ossia quei Comuni che oggi in piena crisi idrica rivolgono critiche feroci nei confronti dell’azienda consortile per la sua “inadeguatezza”.

Il passaggio, come appare evidente, è assolutamente rilevante, perché chi è reiteratamente responsabile di un mancato controllo non appare legittimato a rivestire le funzioni dell’accusa, quanto meno sul piano meramente politico.

Qui nessuno vuol fare l’avvocato difensore dI AICA, il cui stato di crisi gestionale ed economico è palese, si vuol solo far comprendere che la gestione pubblica dell’acqua non funziona perché sono in primis i Comuni a non funzionare e a non volerla far funzionare.

Insomma, la conclusione a cui si arriva è sempre quella, in cima alle responsabilità di tutto ciò che non funziona in Sicilia ci sta sempre la politica, che però non è una cosa astratta o avulsa dal contesto, è semplicemente l’espressione fedele della comunità sociale che la esprime, ossia di tutti noi, ci piaccia o meno questa cosa.

E, tanto per rimanere in tema AICA, continua a perpetuarsi senza che nessuno abbia il coraggio di metterci mano, la gravissima anomalia iniziale che, già di per sé, ha stroncato le gambe alla gestione pubblica dell’acqua sin dal suo nascere e che, cosa ancor più scandalosa, nessuna pubblica autorità sembra minimamente intenzionata a rimuovere e a risolvere con gli strumenti di legge.

Solo il 50% dei Comuni che sono soci di AICA hanno infatti provveduto a versare il capitale di dotazione finanziaria indispensabile per consentire ad AICA stessa di poter funzionare e assolvere alle sue funzioni: lo hanno fatto indebitandosi a medio/lungo termine con la Regione siciliana per reperire le somme necessarie. Il rimanente 50% dei Comuni sono invece sostanzialmente soci abusivi, che non si sono voluti indebitati, non hanno versato la propria quota di “capitale sociale” e che usufruiscono ugualmente di tutti i servizi di AICA relativi alla gestione dell’acqua. Alcuni di questi Comuni addirittura non versano nelle casse di AICA nemmeno gli introiti rivenienti dal pagamento delle bollette da parte dei loro cittadini utenti.

E la cosa semplicemente scandalosa non è solo questa morosità sul capitale proprio e sui consumi non pagati, quanto il fatto che nessuna pubblica autorità statale o regionale trovi un modo per mettere realmente in mora gli inadempienti e costringerli ad adempiere ad un obbligo che è insieme morale, civico, politico e giuridico.

Insomma, una storia come tante tipicamente siciliana…