Ringraziamo Raimondo Moncada per il contributo fornito a questo articolo.

Una conferenza particolarmente interessante quella svolta ieri sera nel salone del Circolo Garibaldi a Sciacca dal dottor Nino Sandullo, apprezzatissimo medico, uomo, scrittore.

La tematica trattata ed approfondita ci interessa tutti, perché attinente ad una figura con la quale ognuno di noi entra prima o poi in relazione: i medici e le modalità con cui si è medici.

Sono due i volti della medicina, la dimensione “tecnica-farmacologica” e quella “umana della cura” e se questi due volti non si guardano la medicina sarà sempre più tecnica e disumanizzata.

Nino Sandullo ha preso le mosse da una frase di Umberto Galimberti, secondo il quale l’epoca contemporanea è caratterizzata da un predominio della tecnica, che da mezzo è diventata un fine, soffocando ogni barlume di umanesimo e sostituendo la coscienza con l’automazione.

Questo predominio della tecnicalità ha determinato metodiche di indagine sempre più sofisticate, un ridotto interesse all’esame fisico del cliente, tanti esami strumentali molte volte inutili. Bernard Lowen, inventore del defibrillatore, ha detto in proposito: i medici di oggi sembrano essere più preoccupati dell’imposizione degli strumenti che di quella delle mani.

Un approccio del tutto diverso è invece quello del medico che, quando avvicina il paziente, per prima cosa lo guarda in faccia, lo fa parlare, gli prende il polso, soprattutto lo osserva.

Oggi invece uno studente specializzando in medicina passa il 40% del suo tempo a guardare lo schermo del PC e solo il 12% le persone.

La cosiddetta dimensione “umana” della cura è costituita da emozioni, affetti, relazioni e sensatezza esistenziale, e incide sulla qualità delle prestazioni e sulle aspettative di successo dei trattamenti medici più di quanto sia stato fin qui possibile immaginare o scientificamente accertare.

Su questo potente fattore terapeutico, che è la competenza umanizzante ed emotiva, non si è tuttavia insistito tanto in questi anni, cosicché il divario tra tecnicismo e umanesimo in medicina rischia di farsi sempre più netto.

Ci sono situazioni in cui lo sforzo tecnico finalizzato a far GUARIRE deve saggiamente cedere il passo al CURARE; condizioni in cui le malattie lasciano in capo ai pazienti e alle famiglie pesanti macigni, come la perdita di autosufficienza o una malattia inguaribile; o ancora realtà che producono disorientamento e disagio non solo negli interessati ma anche negli stessi operatori medici.

Insomma, per quanto la medicina tenda ad essere proceduralizzata, esatta e in qualche caso robotizzata, essa resta sempre un’Arte umana, esercitata da Uomini a beneficio di altri Uomini.

Per questo i medici dovrebbero acquisire già all’inizio degli studi universitari specifiche competenze per sviluppare un atteggiamento empatico, disponibile all’ascolto, aperto al lavoro in team, così come apprendere le tecniche per migliorare la comunicazione.

Questa medicina “umanizzata”, che mette al centro il paziente-persona, prende il nome di modello bio-psico-sociale e con essa l’attenzione si sposta dalla malattia al malato.

Da curare col cuore. Perché non bastano i farmaci. Non basta la chimica. Medicina sono anche le parole, è l’empatia del medico e dell’infermiere, è la carezza al malato che soffre.
Medicina non è solo fredda tecnica, c’è anche l’umanità, l’abbracciare il paziente che ha bisogno anche di calore, di sentire accanto a sé chi lo cura.

Il medico ci deve ascoltare, ci deve guardare negli occhi, deve conoscere la nostra storia passata e presente, ci deve dedicare il tempo necessario, deve capire il nostro dolore, deve sentire ciò che non è misurabile con gli strumenti.

Ed è importante introdurre nella formazione medica la cultura, la letteratura, la filosofia, il teatro, le tante arti per rendere i medici più sensibili, più completi, migliori. Attività che fanno benissimo anche ai malati, che debbono essere al centro di tutto.

Ci vuole la scienza del cuore e la gentilezza attiva per entrare nel cuore dei pazienti e curarli.

E ci vuole un’intera sanità, nella sua totale organizzazione, a essere più umana e vicinissima ai malati e ai loro urgenti bisogni.

P.S. Avremmo voluto vedere tanti giovani, nuovi medici di base, in questa conferenza…

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *